29 giugno 2009: un treno merci composto da cisterne che trasportavano sostanze pericolose esplode nella stazione ferroviaria di Viareggio. Tanti riescono a portarsi in salvo, ma per 32 persone non c’è più niente da fare. Alcuni di loro hanno perso la vita mentre stavano in casa o nelle vicinanze della stazione.
Il cordoglio, dopo quella strage annunciata, fu generale e la “politica” assunse l’impegno ad eliminare il rischio di tragedie simili in ogni parte d’Italia. Parole al vento, come spesso accade in questo paese. Sono trascorsi esattamente dieci anni e stiamo al punto di partenza. RFI continua ad attuare il suo piano di introduzione di nuove tecnologie, ma un progetto disegnato sulla carta non può ignorare che Brindisi non è una stazione come tutte le altre. La sua area industriale è ancora molto significativa e con i carri merci partono grandi quantità di sostanze pericolose (in quanto esplosive), a partire dal GPL (gas propano liquido). Nulla da eccepire, se non fosse che quei treni (in attesa dei tempi biblici necessari per il completamento del raccordo ferroviario tra la zona industriale e la rete nazionale) attraversano il centro abitato di Brindisi e stazionano per ore sui binari della stazione centrale di Brindisi, a poche decine di metri da tanti edifici che insistono in via Torpisana, nel tratto finale di via Appia, in via Osanna e nel rione La Minnuta. Aver pensato di rendere “telecomandata da Bari” la stazione ferroviaria di Brindisi priva questo territorio della presenza sul posto di capistazione , di operatori della circolazione e di addetti all’annuncio. Figure fondamentali nel caso in cui, malauguratamente, dovesse verificarsi un incidente.
Ma i morti di Viareggio per molti sono già abbondantemente caduti nel dimenticatoio…