L’affido condiviso non è sempre la soluzione migliore
La Presidente della Sezione Civile del Tribunale di Brindisi Fausta Palazzo ha adottato delle linee guida in materia di separazione e affidamento dei/delle figli/e, indicando l’affido a entrambi i genitori quale provvedimento da adottare in via prioritaria. Le linee guida si ispirano al modello della bigenitorialità, in base al quale le relazioni tra genitori e figli/e si debbano intrattenere e gestire con modalità e misura paritarie. Il ricorso a un’unica modalità di affidamento dei/lle figli/e risulta tuttavia rigido e inadeguato rispetto alla molteplicità dei vissuti familiari e alla problematicità dell’attuale contesto socio-economico, caratterizzato da crescente povertà e aggravato dall’assenza di servizi e misure di protezione sociale.
Le linee guida sull’affido condiviso dei/lle figli/e fanno riferimento alla risoluzione 2079 (2015) del Consiglio d’Europa e considerano il ruolo dei padri nella fase di separazione e in quella successiva, dando per scontato che in precedenza la relazione coniugale, il rapporto genitore/figlio e la gestione familiare siano state improntate al preciso e misurato criterio della parità, per esempio in relazione al lavoro domestico, di cura, responsabilità educative e familiari, ecc. Ma in Italia la gran parte di tale lavoro non retribuito, a favore dei membri della famiglia, uomini adulti inclusi, è svolto dalle donne.
Inoltre, fatto molto grave, le linee guida non fanno alcun riferimento alle circostanze nelle quali si esclude il ricorso all’affido condiviso, benché nella risoluzione 2079 al punto 5.4 siano specificati i casi di esclusione, ovvero i casi di abuso o di negligenza verso un minore e di violenza domestica.
A tal proposito la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in vigore in Italia dal 1 agosto 2014, all’articolo 31 stabilisce che “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli siano presi in considerazione gli episodi di violenza” e che l’esercizio di tali diritti “non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini”. I governi sono obbligati a garantire tali obiettivi attraverso l’adozione di misure legislative o di altro tipo.
Riteniamo che sull’applicazione delle leggi nelle aule dei tribunali, sul rispetto delle convenzioni internazionali, sulla formazione di operatori/operatrici vi debba essere un confronto ampio, critico e conflittuale nella società.
A tale scopo il movimento Non Una Di Meno e la rete dei centri antiviolenza D.i.Re, a Brindisi il CAV “Io Donna”, indicano alcuni obiettivi prioritari da perseguire per migliorare la condizione delle donne e dei/lle loro figli/e in relazione alle problematiche della violenza maschile sulle donne:
• attuare la Convenzione di Istanbul ostacolata dal permanere di pregiudizi e stereotipi sessisti, discriminatori delle donne, causa della mancata applicazione della normativa esistente;
• vietare nei casi di violenza maschile contro le donne la mediazione familiare e le altre forme alternative di soluzione delle controversie, che determinano vittimizzazione secondaria per le donne e per i/le loro figli/e;
• escludere espressamente l’affidamento condiviso in tutti i casi di violenza domestica e opporsi ad altre forme di affidamento che causano pregiudizio per i minori e svuotamento dei diritti economici delle donne, quali l’affidamento alternato dei figli e la conseguente perdita del diritto alla assegnazione della casa familiare, che diventa ennesimo strumento di ricatto e mantenimento della donna in una condizione di sudditanza economica nei confronti degli uomini.
Lia Caprera e Paola Calcagno per Non Una Di Meno Brindisi