RECLUTAMENTE MEDICI CON LAVORO AUTONOMO – LA FP CGIL RIBADISCE LA PROPRIA CONTRARIETA’

La FPCGIL, con la presente, intende ribadire la sua netta (e nota) contrarietà nei confronti del reclutamento di laureati (medici, psicologi, biologi, farmacisti, etc) per il tramite di incarichi di lavoro autonomo. Una posizione, questa, peraltro segnalata sin da quando una delle precedenti amministrazioni trasformò, ex abrupto e motu proprio, il CCNL con cui aveva inquadrato alcuni medici del PS brindisino in incarico di lavoro autonomo. Il risultato fu la fuga di quei medici, peraltro in servizio da anni e ben inseriti nel collettivo lavorativo del PS brindisino, verso altra ASL vicina.

I motivi della contrarietà a tale forma di reclutamento (e, sostanzialmente, anche della fuga di quei medici) erano e rimangono gli stessi.

Innanzitutto, tutti gli incarichi di lavoro autonomo nell’ASLBR, in realtà, sono rapporti che si svolgono secondo le modalità proprie dello schema legale di cui all’articolo 2094 codice civile. Trattasi, cioè, di rapporto di lavoro subordinato in quanto, più che al nomen juris usato dalle parti, il rapporto di lavoro riguarda la effettiva natura, il reale contenuto del rapporto nonché le modalità di espletamento delle mansioni che costituiscono l’oggetto della prestazione. Senza tralasciare il fatto che si tratta di un rapporto di lavoro eterodiretto che assoggetta, quindi, il prestatore d’opera al potere direttivo organizzativo e disciplinare del datore di lavoro con conseguente limitazione della libertà del dipendente. Anzi, trattasi proprio di rapporto di pubblico impiego in quanto il lavoro è prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, il dipendente risulta e risulterà effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica e adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, a prescindere se esista un atto formale di nomina.

In linea teorica, la delibera ASLBR n°2401 del 26.09.2023 (come, peraltro, altre precedenti simili) parte dall’assunto[1] che il mercato del lavoro -dei medici nativi italiani- sia suddiviso tra due categorie, in competizione salariale tra loro, gli insiders (lavoratori occupati, sindacalizzati e qualificati) e gli outsiders (lavoratori non sindacalizzati, poco qualificati e spesso disoccupati). Già quest’ultima è una contraddizione rispetto alla vulgata dominante, non ci sono medici: nei fatti, in questo momento (ma si potrebbe dire storicamente) il mercato italiano del lavoro dei medici non sembra avere mai avuto un tasso di disoccupazione naturale e, a prescindere dai cosiddetti shock di politica monetaria, i medici lavoratori insiders non fuoriescono mai dal processo produttivo, non divengono mai outsiders, a meno che non vadano in quiescenza. Ma quale medico specialista in una delle discipline oggetto di ricerca, in pensione dopo, magari, quarant’anni di duro lavoro, accetterebbe un incarico di lavoro autonomo, sia pure a 60 euro lordi l’ora?

Successivamente, la delibera in parola, assume che tutti gli altri sono imprenditori, sia che si mettano a condurre la loro impresa disponendo di un fondo sia che si facciano imprenditori del loro stesso lavoro senza alcun fondo, e si possono considerare viventi nell’incertezza[2]. Assume, cioè, che il mercato del lavoro – dei medici nativi italiani, soprattutto dei presunti outsiders- sia ulteriormente diviso in due categorie, i rischiofili, capitani coraggiosi, e i rischiofobi, dominati piagnucoloni[3]. Certo, 60 euro lordi l’ora sono una tariffa apparentemente allettante (in quanto complessivamente superiore alla tariffa oraria media di un dirigente medico con quindici anni di carriera in regime di intramoenia) per un altro segmento di lavoratori medici -nativi italiani- che, però lavoratori outsiders non sono: i medici neolaureati. Ma quale medico neolaureato accetterebbe, in cambio di quella tariffa, il rischio connesso ad alcune discipline ospedaliere come la Ginecologia e, soprattutto, Ostetricia o la chirurgia generale (senza escludere le altre oggetto di ricerca)? Quale direttore UOC dei reparti in grave sofferenza accetterebbe il rischio concreto della culpa in eligendo? Quanto dovrebbe spendere l’ASLBR per formare ad un livello adeguato i neolaureati col rischio che tali professionisti decidano di andare altrove? Il rischio dunque, presentato come controparte del desiderio di guadagnare e formarsi prima di entrare in scuola di specializzazione, viene scaricato integralmente sul neolaureato (dalla formazione nell’emergenza urgenza all’assicurazione sugli infortuni e sulle malattie professionali all’assicurazione medico legale…). Questa radicale individualizzazione del destino, però, non ha nulla di naturale.

In ultimo, la delibera di che trattasi compie un passaggio ulteriore assumendo che l’ASLBR si muova in una economia aperta, ma molto semplificata in cui possa ridurre la conflittualità dei lavoratori insiders medici nativi italiani in merito alle richieste di salario monetario, quanto meno al minimo salariale previsto dal CCNL (come già rappresentato da questa OS in sede di delegazione trattante) mettendoli in competizione salariale con lavoratori medici oustiders internazionali: insieme all’assunzione che la produttività sia costante, che il margine di profitto delle aziende che si occupano del sistema salute venga mantenuto costante a livello nazionale e internazionale, suppone che gli altri paesi non reagiscano alla politica di competizione salariale posta in essere in Italia e in Puglia. Naturalmente la verità infatti è sotto gli occhi di tutti: esistono paesi in grado di pagare fino a oltre 30.000 petro dollari al mese certi medici specialisti.

Pur comprendendo la necessità impellente da parte di codesta amministrazione di ridurre le gravi e, in alcuni casi, inveterate carenze strutturali dei medici, questa OS ritiene opportuno approfondire, inoltre, che i rapporti contrattuali che si applicheranno in regime di lavoro autonomo, porteranno, obtorto collo, ad una disomogeneità dei rapporti di lavoro nella sanità pubblica; ad una  più complessa gestione dei rapporti gerarchici individuati e/o individuabili nel rapporto di lavoro; ad una differenziazione dei livelli retributivi; ad un dumping contrattuale.

In definitiva, si prende atto del grande impegno profuso dalla direzione generale a risolvere le criticità ed a garantire i servizi sanitari, ma rimane il fatto che occorre seguire con attenzione queste dinamiche per ridurre davvero ulteriori défaillance e per evitare che si determini una impronta privatistica del sistema sanitario basata non più sull’applicazione erga omnes dei contratti di lavoro ma sulla mercificazione della domanda di salute e del lavoro.

Poi, occorre ancora una volta poter fare una giusta analisi su quanto avvenuto in questi anni ovvero le ragioni per le quali il sistema sanitario provinciale è andato in crisi per la mancanza di medici: mancanza di una programmazione universitaria di largo respiro perché incentrata anacronisticamente a limitare gli accessi in medicina e nelle specializzazioni ricorrendo al “numero chiuso”; una mancanza di attrattività aziendale per cui pochi medici aderiscono ai concorsi della ASLBR anche – ma non solo – in ragione del fatto che esiste una strana sperequazione stipendiale rispetto ad altre ASL viciniore; senza tralasciare che la fuga di tanti medici, avvenuta negli anni verso altre ASL o in strutture private, è stata conseguenza della costrizione a lavorare nell’ASLBR in condizioni di cattività, sotto organico, con relativo stress lavoro correlato.

Pertanto, la FPCGIL proporrà una piattaforma da condividere con tutti gli attori interessati ed in primis con la direzione generale per avviare un deciso cambio di rotta che superi tali ataviche criticità. Perché di questo si tratta: l’urgenza che si protrae da anni non si affronta con provvedimenti “tampone” di corto respiro. Il sistema può cambiare con una elaborazione prospettica o meglio di ampio raggio che possa modificare il paradigma dominante, in applicazione della carta costituzionale che vuole un sistema sanitario pubblico universale e di qualità.


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