La notizia che dal primo febbraio la SIR, società che si occupa, tra l’altro, della movimentazione del carbone diretto alla centrale ENEL, metterà in cassa integrazione straordinaria 83 lavoratori è solo l’anteprima di quanto accadrà il prossimo anno con la chiusura dell’impianto di Cerano. Si tratta, infatti, solo del primo effetto della cosiddetta decarbonizzazione. Né, tantomeno, si profilano all’orizzonte iniziative industriali sostitutive capaci di assorbire la manodopera che sarà espulsa dall’impianto energetico. Preoccupa soprattutto il futuro delle imprese dell’indotto e dei tanti lavoratori impegnati in attività manutentive. Chi confidava in nuovi investimenti da parte di Enel è rimasto deluso dal piano industriale presentato dalla società laddove emerge con tutta chiarezza la volontà del colosso energetico di abdicare alla produzione di energia sul nostro territorio se si fa eccezione per due impianti fotovoltaici di ridotta potenza e per la realizzazione di un sistema di accumulo “Bess”.
Gli impegni sula logistica sono quanto mai generici e comunque condizionati dalla realizzazione di nuove banchine.
La richiesta di realizzare una centrale alimentata a metano sembra una battaglia di retroguardia che rischia di essere solo un elemento di distrazione di massa atteso che ENEL ha più volte chiarito che non intende perseguire questo investimento a prescindere dalla circostanza che Terna riveda la sua decisione circa l’inserimento del sito di Cerano tra quelli attraverso cui – con l’utilizzo del gas – si può garantire una sicurezza energetica al paese.
Pare addirittura anacronistica la posizione di coloro che sollecitano il governo ad assegnare ad Enel i fondi del PNRR per realizzare un impianto a turbogas nel sito di Cerano.
E così mentre altrove in luogo delle centrali dismesse si progettano poli scientifici e tecnologici, centri di ricerca, gigafattory e addirittura villaggi turistici da noi c’è il concreto rischio che la centrale dismessa si trasformi nell’ennesima cattedrale nel deserto.
Quello che andrebbe da subito chiesto ad ENEL, allora, dovrebbe essere la presentazione di un piano di decommissioning che preveda lo smantellamento della centrale e del nastro trasportatore e il disinquinamento dei terreni circostanti la centrale.
Solo così si garantirebbero occasioni di lavoro per le nostre imprese e per i loro dipendenti
E’ quindi il caso di fare meno chiacchiere, di convocare meno tavoli e di inchiodare ENEL alle sue responsabilità nei confronti di un territorio che per decenni ha garantito l’approvvigionamento energetico all’intero Paese.
E di chiedere al Governo ed alla Regione di stanziare fondi adeguati per garantire un effettivo processo di riconversione industriale dell’area di Brindisi.
Occorre un fronte unito, capace di affrontare a muso duro l’Enel ma anche il Governo e la Regione Puglia. Magari stimolando una mobilitazione di massa che una volta tanto veda in prima linea Istituzioni e partiti politici oltre alle Organizzazioni Sindacali. Il PRI sarebbe in prima fila!
La Segreteria Cittadina
Il Gruppo Consiliare