Quando in Italia si cominciò a parlare di decarbonizzazione probabilmente a Brindisi la questione fu affrontata con superficialità, forse per la scarsa consapevolezza di ciò che sarebbe potuto accadere nel momento in cui la centrale di Cerano avrebbe chiuso i battenti. Oggi quell’evento è davvero alle porte, anche in considerazione del fatto che l’impianto di produzione energetica più grande d’Italia è ormai fermo da settimane.
Il rischio reale è per i dipendenti diretti di Enel e soprattutto per le migliaia di persone che ruotano nell’ambito dell’indotto diretto e di quello indiretto.
Si corre il rischio, insomma, di dover fronteggiare una emorragia occupazionale senza precedenti, acuita anche dalla chiusura dell’impianto chimico P9T della Basell e dall’intenzione di EuroApi di vendere l’impianto farmaceutico di Brindisi.
Ebbene, a fronte di una situazione così grave, le alternative lanciate con grande clamore dovevano essere collegate all’intenzione del gruppo Falk di investire a Brindisi per la realizzazione di torri eoliche da collocare in mezzo al mare. Sempre a Brindisi la start up ACT Blade avrebbe dovuto realizzare delle pale eoliche innovative, mentre Edison avrebbe dovuto realizzare un deposito di GNL e la società Brundisum un deposito di carburanti.
Di Falk, come ben noto, a Brindisi si sono perse le tracce ed il navigatore di chi conduce quel gruppo si dirige con sempre maggiore decisione verso Taranto. ACT Blade, invece, resta un mistero perché nessuno ne parla più, soprattutto dopo le notizie poco rassicuranti circa il finanziamento statale richiesto per investire a Brindisi.
Di Edison si sa già tutto e le complicazioni perché l’investimento possa andare a buon fine non sono di poco conto e chiamano in causa il parere emesso dal Consorzio Asi in materia di sicurezza. Infine Brundisium, di cui si erano perse le tracce e per il quale adesso esistono nuovi ostacoli.
Insomma, la situazione è tutt’altro che rassicurante, al di là di annunci roboanti e frasi ad effetto.