NOTA DI RIFLESSIONE DELLE ACLI SULLA GIORNATA DELLA DONNA – 08 MARZO 2017

La giornata internazionale della donna viene celebrata in molti paesi del mondo per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche ottenute dalla donna nel corso degli ultimi secoli, ma anche le discriminazioni e le violenze subite che purtroppo continuano ancora oggi. Nella società odierna cresce in maniera sempre più impellente, la necessità e la consapevolezza di abbandonare i tradizionali rituali atavici e consumisti che introiettano nella mimosa, oppure in una scatola di cioccolatini, una sospensione, temporanea e “gentile” come per dirimere, quelle disparità, difficoltà e soprusi che la donna incontra quotidianamente per affermare la propria individualità nei diversi ambiti sociali. La tendenza che si sta sviluppando intende, piuttosto mutare questa giornata puramente celebrativa, in un momento di riflessione e di interrogazione sulle questioni ancora aperte sul piano sociale, politico e culturale che richiederebbero un azione programmatica e congiunta da parte degli organi istituzionali, delle agenzie formative e delle associazioni. Dal 2006 al 2016 le donne uccise in Italia sono state 1.740 e di queste 1.251 (il 71,9%) in famiglia, 846 (il 67,6%) all’interno della coppia, 224 (il 26,5%) per mano di un ex compagno, fidanzato o marito. Nonostante i dati Istat registrino un leggero calo del 3,3%, le cifre dei delitti nei confronti delle donne rimangono comunque elevate. La violenza sulle donne è una piaga sociale dolorosa ed in crescita, soprattutto perché riguarda diverse forme, tra cui la violenza psicologica, gli atti persecutori, la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro e le molestie sessuali che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), individua come “violazione dei diritti umani”, un importante riconoscimento che ha permesso di introdurre nella legislazione provvedimenti di pena adeguati per il crimine specifico e al contempo adottare misure di prevenzione, tutela ed assistenza per la vittima.  Proprio in questi giorni la Camera ha approvato all’unanimità il testo, che ora passa al Senato, per la tutela degli orfani dei crimini domestici e  dei circa duemila orfani di femminicidio, per offrire assistenza e difesa già nelle prime fasi del processo penale ed accesso gratuito al patrocinio a spese dello Stato, modifica anche il sequestro conservativo, per rafforzare la tutela degli orfani rispetto al loro diritto al risarcimento del danno, ed annulla il diritto al godimento dell’eredità e della pensione di reversibilità per i colpevoli di omicidi in famiglia. Questa norma è di fondamentale importanza, perché non solo adegua la legge italiana alle disposizioni europee previste dall’ art. 26 della Convenzione di Istanbul, ma soprattutto perché lo Stato estende il riconoscimento giuridico agli orfani di femminicidio, lasciati per troppo tempo soli a vivere il proprio dramma, dal lutto all’assistenza psicologica ed economica tesa allo sviluppo e alla crescita personale, in quanto doppiamente vittime perché privati di entrambi i genitori, l’uno ucciso e l’altro (il carnefice) a volte suicida, oppure recluso. Un tema che necessita un approfondimento e al contempo un azione programmatica di inclusione sociale ed economica, è la parità di genere nel mondo del lavoro, una conditio sine qua non, imprescindibile per una società più inclusiva e produttiva che incentivi l’occupazione femminile ed elimini il “gender gap” nelle retribuzioni. In Italia secondo l’ultimo rapporto dell’l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), il divario salariale è del 6,1 % e secondo le ultime stime della Commissione Europea, una donna guadagna il 16% in meno rispetto ai colleghi uomini.  Appare evidente come l’incremento dell’occupazione femminile necessiti di una politica di empowerment e di welfare che miri ad incentivare le assunzioni di donne disoccupate di qualsiasi età (una misura già contenuta nella Legge di Stabilità 2017), prevedendo agevolazioni contributive e fiscali per il datore di lavoro e migliori la conciliazione lavoro e famiglia, rendendo più applicabile le misure contenute nel D.Lgs. n. 80 del 15/06/2015, attuativo della delega del Jobs Act,Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”, proponendo modelli di azione e di servizi che consentano di tutelare maggiormente le madre lavoratrici.  Appare evidente come le questioni esposte in precedenza, rappresentino una minima parte di un discorso molto più ampio che richiederebbe una maggiore attenzione per migliorare e contrastare in maniera sempre più efficace ogni forma di discriminazione e di violenza sulle donne.  Queste tematiche ci permettono anche di interrogarci sul ruolo che posseggono le associazioni e le agenzie formative nel contrasto e nella prevenzione a tali fenomeni. Il loro ruolo sociale è enorme e funge da raccordo, in una società sempre più frammentata dove i soggetti più deboli continuano ad essere esclusi e ad non essere riconosciuti i propri diritti. Nella fattispecie, essere donna oggi, significa soprattutto abbattere quegli stereotipi legati ad una cultura patriarcale e maschile, sempre più predominante che influenza l’autodeterminazione della donna, indirizzando verso archetipi distorti che condizionano la sua capacità di realizzazione nella piena libertà di essere e di pensare. L’ “Essere” inteso come esistenza fisica, è legato ad una serie di attributi legati ad ogni ambito della vita, essere donna, essere lavoratrice, essere madre ed essere moglie, ognuno di questi termini non pregiudica il suo ruolo nella via sociale, politica ed economica del paese, piuttosto è un arricchimento.  Il compito delle famiglie, della scuola, delle associazioni e di tutte le agenzie formative è quello di promuovere programmi convergenti sull’educazione di genere, intesa come educazione alle differenze e al rispetto dei due generi, secondo le proprie peculiarità. Se da un lato la giurisprudenza, come abbiamo analizzato in precedenza ha compiuto degli enormi miglioramenti in materia di prevenzione e di tutela, seppur sempre soggetta a modifiche per una maggiore efficacia e coercizione, dall’altro lato, rimangono la cultura e l’educazione le prime vere risposte alla prevenzione ad ogni forma di discriminazione e di violenza. Dobbiamo partire da una rivoluzione culturale, linguistica ed educativa che entri nelle viscere della società per scardinare quelle forme abiette di modi e di atteggiamenti impostaci come modello esclusivo nella convivenza civile e proporre invece il rispetto ed il dialogo, quali forme esemplari uniche ed alternative.

 

La ringrazio anticipatamente per l’evidenza della nota.

Cordiali Saluti

 

 

Presidenza Provinciale ACLI Brindisi

Resp. del Coordinamento Donne

Dott.ssa Federica Caniglia

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