“DIO È MORTO E NEANCH’IO MI SENTO TANTO BENE”: TULLIO SOLENGHI AL VERDI

Dio è morto e neanch’io mi sento tanto bene” è il titolo del nuovo spettacolo di Tullio Solenghi, in scena al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi domenica 5 febbraio, con sipario alle ore 18. Biglietti disponibili in botteghino, dal lunedì al venerdì ore 11-13 e 16.30-18.30, e online alla pagina rebrand.ly/Solenghi. Info T. 0831 562 554 e botteghino@nuovoteatroverdi.com. Lo spettacolo è un connubio di prosa e musica in cui Solenghi diletta gli spettatori con la lettura di alcuni esilaranti brani tratti dai libri di Woody Allen, accompagnato dalle musiche che hanno caratterizzato i suoi film più significativi, eseguite dal vivo dal Nidi Ensemble, diretto al pianoforte da Alessandro Nidi e formato da Giulia Di Cagno al violino, Filippo Nidi al trombone, Massimo Ferraguti al clarinetto, Tea Pagliarini al corno e da Sebastiano Nidi alle percussioni.

Il gruppo, con un singolare montaggio musicale, accompagna le letture scelte da Tullio Solenghi rendendole ancora più originali. Sul palco le parole del fine dicitore trascinano il pubblico in una sintassi di emozioni intrecciandosi alla musica Jazz degli anni dai Trenta ai Cinquanta, protagonista di tantissimi film, a cominciare da Gershwin, Tommy Dorsey e Dave Brubeck. Uno speciale ricordo è dedicato al mentore di Woody Allen, il sommo Groucho Marx, evocato dalla musica Klezmer. L’allestimento, che ha per sottotitolo “Le parole del genio Woody Allen immerse nella sua musica”, propone estratti da due dei libri più famosi di Allen, “Without feathers” e “Getting even”, pubblicati in Italia negli anni Settanta rispettivamente come “Citarsi addosso” e “Saperla allunga”, poi riediti nel 2004 a cura di Daniele Luttazzi – con i titoli originali “Senza piume” e “Rivincite” -, insieme a “Effetti collaterali”.

In rapida successione si alternano suoni e voci, musica e racconto in un continuo rimando di primi piani a comporre un ‘montaggio’ divertente ed ipnotico. Lo spettacolo è una efficace unione di prosa e musica in cui Solenghi legge, interpreta e commenta celie e arguzie uscite dalla genialità di Allen: “Dio è morto e neanch’io mi sento bene” è una lettura che appassiona avvincendo lo spettatore al narratore in scena: centinaia di battute che l’attore, scrittore e regista newyorkese ha disseminato nei suoi lavori e che sono entrate ormai nel linguaggio comune anche di noi italiani. Una passione che viene da lontano, da quando Solenghi era ragazzo e nei viaggi in treno che lo portavano a Roma, dove sognava ammirato il mondo dello spettacolo, leggeva i testi di Woody Allen: «Mi faceva morire dal ridere ma per non farmi vedere dagli altri passeggeri mi nascondevo nel bagno del treno dove potevo ridere liberamente. Posso dire di avere un ricordo indimenticabile di me e di Allen in quello spazio anomalo che era la toilette».

Alla base dello spettacolo l’irrefrenabile passione per il genio di Manhattan, uno di quei (invero pochi) registi divenuti iconograficamente celebri in tutto il mondo non soltanto per la loro opera ma per la loro stessa immagine, capace di indagare e interpretare come nessun altro i tic della società attraverso personaggi e battute che ormai fanno parte della storia del cinema. «Condivido con il pubblico la mia infatuazione per Woody Allen. Gli argomenti propongono quelli che sono i ‘totem’ per Allen, ossia la psicanalisi, la religione e il rapporto con l’universo femminile. Ho selezionato le parti più condivisibili da ogni tipo di pubblico: di solito, ridono tutti e si lasciano docilmente coinvolgere. Certamente è un tipo di comicità che tiene svegli i neuroni, qualcosa di salutare in periodi in cui spesso si scade nel becero e nel volgare. Allen, come noi del Trio, gioca molto sul surreale e spazia su qualsiasi terreno. Attraverso l’alternanza di parole e musica restituisco la sua ironia con il coinvolgimento del pubblico come se ci trovassimo direttamente a casa sua. Allen mi ha aperto la mente, ha giocato un ruolo non secondario nel mio percorso di formazione artistica. Il suo umorismo ha segnato una svolta surreale, distinguendosi, quando quel tipo di comicità non era ancora diffusa. Una genialità immensa, capace di colpire con le sue freddure o con un semplice aforisma».

Non mancherà una tra le canzoni italiane preferite dal maestro newyorchese, “Non dimenticar le mie parole”, di Emilio Livi, uno dei tenori leggeri italiani più popolari degli anni Trenta, incisa nel 1937 con il Trio Lescano e l’orchestra Barzizza. «Il genio di Allen è trasversale – ha concluso Solenghi –, ha attraversato le epoche, gli stili, le mode. Come una sorta di vino doc che resiste al tempo e anzi migliora: nelle sue poliedriche vesti di regista, attore, cineasta, sia pure classico, sarà sempre attuale, non passerà mai di moda. La vera abilità di un comico è dare la sensazione che tutto stia avvenendo nell’istante della battuta. In realtà a monte c’è un lavoro di lacrime e sangue, la costruzione su carta di un linguaggio comico che poi deve essere tradotto per la scena e diventare materiale da interpretare e recitare: tutto questo ha a che fare con la matematica, con i tempi comici, con l’esattezza di un effetto. È un processo che riconosco in Woody Allen e che appartiene anche al mio modo di fare comicità».

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