La direttiva europea 2018/1999 ha stabilito gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2030 per i paesi membri. La Puglia, come indicato dal Decreto Aree Idonee, avrà l’impegno di raggiungere 7,3 GW di nuove installazioni entro quella data. Il tempo verbale utilizzato è declinato, ancora, al futuro ed è un chiaro sintomo dell’impasse che stiamo vivendo. Le incertezze del mondo della politica hanno determinato un approccio surreale sulla questione energetica. Assistiamo, infatti, a schieramenti contrapposti rispetto all’impiantistica, ma una compattezza senza precedenti sulla lotta ai cambiamenti climatici, anche se questa non appare in linea con quelle che dovrebbero essere le politiche dettate da un’emergenza che riguarda anche la nostra regione, colpita, dal 2010 ad oggi, da almeno 14 eventi climatici estremi.
È arrivato il momento di definire in modo chiaro quale direzione vogliamo dare al futuro della nostra regione perché, per fermare gli effetti del cambiamento climatico che stravolgerà in modo irreversibile il nostro paesaggio, è necessario fare delle scelte e agire velocemente.
Il futuro dello sviluppo energetico è già segnato: l’industria delle fonti rinnovabili è l’unica strada perseguibile e non solo perché lo impone una direttiva europea o una pianificazione urbanistica. Purtroppo, noi pugliesi abbiamo già subito lo sfregio dell’industria delle fonti fossili che non solo ha modificato il paesaggio in modo irreversibile, ma ha anche creato danni alla salute, non portando alcun beneficio nel lungo periodo e impoverendo il tessuto sociale. L’impatto che la costruzione di una filiera dell’industria delle rinnovabili può generare è notevole: non solo la creazione di posti di lavoro qualificati, ma l’evoluzione dell’offerta formativa delle nostre università, lo sviluppo della logistica nei porti. La Puglia può diventare il fulcro dell’industria green, generando economie sociali senza precedenti.
E, finalmente, tutelando il nostro territorio.
Siamo stati per anni i percettori di decisioni prese altrove, ma oggi siamo in una condizione diversa perché possiamo ancora governare il processo di sviluppo delle fonti rinnovabili. Lo possiamo fare attivando i meccanismi di decisione politica, coinvolgendo i cittadini in modo partecipato, entrando nel merito dei progetti per definire le strategie di sviluppo del territorio e per integrare nel miglior modo possibile gli impianti con le peculiarità paesaggistiche della nostra regione. Per rendere possibile tutto questo è necessario uscire da logiche protezionistiche molto spesso legate ai bacini elettorali che, a volte, cavalcano l’onda dei 5 anni di mandato, mentre dovremmo abituarci a pensare per i prossimi 50 anni.
Oggi, l’occasione è quella data dal Decreto Aree Idonee che assegna alle regioni italiane una responsabilità importante, ovvero quella di definire le aree in cui i processi autorizzatori saranno accelerati proprio in virtù degli obiettivi da raggiungere. E la Puglia, nonostante il suo enorme potenziale, è tra le 8 regioni che non sono in linea con gli obiettivi al 2024, con oltre 400 MW di installazioni mancanti e un obiettivo raggiunto del 16,7% rispetto al 2030. La nostra regione quindi occupa le ultime posizioni nella classifica, dopo di noi solo Sicilia, Calabria, Sardegna e Molise. Il tutto in un clima di discussione da parte di alcuni rappresentanti della Regione di voler chiudere e limitare le installazioni, prendendo esempio dalla Sardegna, invece di pensare ai benefici che le tecnologie pulite potrebbero portare al territorio.
Dalla parte politica deve emergere in modo deciso questa esigenza, perché il rischio che la questione energetica venga risolta nelle aule dei tribunali è concreta.
E i cittadini ancora una volta saranno spettatori passivi.