DALLA CASA DI VIRGILIO L’OMAGGIO AL SOMMO POETA DI MERIDIANI PERDUTI
Uno speciale punto di narrazione. Dove bellezza e storia si incontrano per celebrare la insuperata potenza evocativa di Dante Alighieri, il poeta fiorentino che aspirava all’alloro di Apollo. Dinanzi agli occhi il porto di Brindisi, il davanzale sull’Oriente, la via consolare che ricomincia dove nel 19 a. C. terminò il suo viaggio terreno il poeta latino Publio Virgilio Marone, l’autore dell’Eneide e delle Bucoliche. E a 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, la figura che ha influenzato la letteratura di ogni tempo, le parole del III canto del Purgatorio rivivono nell’interpretazione di Sara Bevilacqua, incorniciate nelle splendide immagini di Mimmo Greco, proprio dal limitare dell’ultima dimora di Virgilio, che Dante incontra nel I canto dell’Inferno e che diventerà la sua guida durante il viaggio tra i gironi infernali e il Purgatorio, fino al Paradiso terrestre. Virgilio morì a Brindisi, “Virgilius Brundusii moritur”, di ritorno da un viaggio in Grecia, non prima di aver raccomandato ai suoi compagni di studio Plozio Tucca e Vario Rufo di distruggere il manoscritto dell’Eneide, perché, per quanto l’avesse quasi terminata, non aveva fatto in tempo a rivederla.
La produzione di Mimmo Greco e di Meridiani Perduti, realizzata con il contributo dello studioso Danilo Urso e la direzione organizzativa di Daniele Guarini, e con la preziosa disponibilità della famiglia Petrachi – Nozzoli che ha aperto la “suprema magione”, prende vita nel punto estremo della Via Appia in una sorta di dialogo immaginario con la colonna che si erge a coronamento del viaggio mortale. Una compagna silenziosa e testimone dei millenni, sentinella insonne di un porto che ha sempre rappresentato una porta di scambio e di relazione, di approdi e di accoglienza.
Nel I canto dell’Inferno Dante parla di Virgilio come di una “fonte che spandi di parlar si’ largo fiume”: lo considera un grandissimo autore, un maestro di parola, che gli ha insegnato “lo bello stilo”, “maestro” nell’arte poetica. Poi lo chiama “onore e lume degli altri poeti”, una stella polare per tutti coloro che si dedicano alla poesia, e “famoso saggio” che non ha conosciuto la fede, ma che può guidarlo nel viaggio che lo condurrà in cima al monte. Per Dante Virgilio è “il savio gentil che tutto seppe”, l’uomo più savio dell’antichità che incarna il massimo livello di conoscenza della verità cui l’uomo tende senza l’aiuto di una verità rivelata. Il personaggio di Virgilio è infatti un simbolo, quello della ragione senza la fede.
La Lectura Dantis di Sara Bevilacqua attraversa il III canto del Purgatorio, nel quale Dante, iniziata la salita verso la montagna, vede solo la sua ombra e non quella di Virgilio, per questo teme che il suo maestro lo abbia abbandonato: ma Virgilio lo rassicura e gli spiega che il suo corpo fu traslato per volere di Augusto da Brindisi a Napoli, sulla via di Pozzuoli (“Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto”), e che la luce del sole attraversa le anime senza generare ombra.
Dante e Virgilio si trovano sull’Alta Ripa, una salita molto ripida sulla quale le anime degli scomunicati scalano lentamente i contrafforti rocciosi. Non conoscendo la via per salire, Virgilio si rivolge a un gruppo di anime. Tra queste, Virgilio e Dante incontrano Manfredi che chiede al poeta di informare sua figlia Costanza della sua salvezza, che il poeta attribuisce al pentimento del sovrano in punto di morte. Manfredi incarna il cavaliere perfetto, la cui gentilezza rappresenta per Dante il più alto codice di comportamento civile. Esibisce con fierezza le sue ferite di battaglia e mostra rispetto verso il viaggio di Dante. Con Manfredi, Dante riconosce la dinastia sveva come simbolo di un Impero che sublimava ordine, giustizia e unità. Manfredi non cita il padre, Federico II di Svevia, lo stupor mundi del Medioevo, malgrado si sia ferito in combattimento per lui, perché condannato all’Inferno tra gli epicurei, cioè tra chi nega l’immortalità dell’anima. Nomina invece sua nonna Costanza, beata in Paradiso. La salvezza di Manfredi, scomunicato e marchiato dei delitti più efferati, è per Dante una sorta di rivalsa nei confronti della Chiesa (forse proprio per questo episodio Ugo Foscolo definì Dante il “ghibellin fuggiasco”), che poneva in modo intransigente la propria autorità al di sopra della misericordia di Dio, e alle facili congetture popolari, colpevolmente refrattarie al pentimento interiore.