Le speranze sono sempre le ultime a morire ed è su questo che oggi probabilmente ci si può basare per non avere un quadro desolante sulle prospettive economiche ed occupazionali per il territorio brindisino.
I processi di deindustrializzazione e di decarbonizzazione, infatti, rischiano di determinare pesanti conseguenze per l’intera provincia e, in particolare, per il capoluogo. Già nei mesi scorsi, infatti, molte aziende hanno chiuso i battenti per effetto della crisi e della mancanza di prospettive per il futuro del settore di appartenenza.
Certo, si potrà dire che era tutto previsto, ma ai cambiamenti deve sempre collegarsi una prospettiva e qui, invece, è ormai noto che ci si scontra con inimmaginabili intoppi burocratici, con una conflittualità territoriale da paura e con un intervento dello Stato che spesso si ferma agli annunci senza andare molto oltre.
Ancora oggi, infatti, non si sa cosa accadrà nel dopo-centrale di Cerano, visto che lo stop all’utilizzo del carbone dovrebbe essere compensato con altre attività produttive. Ed invece ci si è messa anche la guerra in Ucraina a complicare ulteriormente la situazione.
Per il resto, la mancanza di progetti ed il caro-materiali hanno messo in ginocchio la partenza delle infrastrutture finanziate con il PNRR, mentre le indecisioni centrali sui bonus hanno spezzato le gambe al comparto edilizio.
Certo, non ci si può basare solo sugli interventi statali, ma Brindisi sta per vivere la consueta bagarre pre-elettorale, visto che in primavera si rinnoverà il consiglio comunale. Aspettiamoci, dunque, tante polemiche e tante accuse reciproche. Anche se questa volta c’è il rischio che la gente non capisca i giochi della politica e rivendichi a pieno titolo il diritto di avere una classe dirigente capace di rappresentare realmente gli interessi dei cittadini.