Brindisi, non è un mistero per nessuno, sta vivendo un periodo difficilissimo della sua storia recente, contraddistinto da una crisi senza precedenti che riguarda aspetti economici e, di conseguenza, occupazionali.
Si tratta di una situazione frutto di errori che vengono da molto lontano e di una “lontananza” del governo nazionale nei confronti della nostra piccola città.
Quando hanno potuto, hanno scaricato su Brindisi il peso ambientale di impianti industriali altamente inquinanti, incuranti del fatto che la vocazione di questo territorio andava in un’altra direzione. E’ stato facile sottrarre braccia dall’agricoltura e portarle davanti ad impianti chimici o energetici.
L’economia, ovviamente, ne ha tratto giovamento e la città ha vissuto anche anni floridi, potendo contare su un valore aggiunto in termini occupazionali.
Poi è cominciata la crisi strisciante della chimica, a cui ha fatto seguito – ai nostri giorni – quella determinata dal processo di decarbonizzazione. Il tutto, con la conseguenza letale della perdita di migliaia di posti di lavoro.
In qualsiasi altro paese avanzato – o anche nelle regioni del nord Italia – la dismissione di produzioni impattanti per l’ambiente e per la salute dei cittadini sarebbe stata compensata con bonifiche e processi di riconversione industriale basata su produzioni eco-compatibili.
A Brindisi, invece, si è aspettato che piovesse manna dal cielo. Una circostanza ovviamente irrealizzabile e la conseguenza è rappresentata dalla crisi gravissima di cui ormai è impossibile non occuparsi.
Del resto, pensare allo sviluppo di altri comparti è sostanzialmente impossibile in una città che ad oggi non è stata ancora in grado di dotarsi di strumenti urbanistici e che è in ritardo anche nella realizzazione di una adeguata dotazione infrastrutturale.
Ebbene, a fronte di una situazione così drammatica sarebbe logico individuare gli errori commessi per poter correre ai ripari.
Partiamo dagli enti locali, spesso paralizzati anche nel concedere autorizzazioni a causa di una macchina burocratica farraginosa, troppe volte guidata da gente incapace. Ritardi inaccettabili e macroscopici difetti di progettazione di strutture pubbliche. E nel frattempo i mercati si sono indirizzati altrove, dove ci si è fatti trovare pronti.
Ma sparare solo sulle amministrazioni pubbliche sarebbe ingiusto e forse anche inutile. Il mondo imprenditoriale, infatti, avrebbe dovuto fare la sua parte e non lo ha fatto. Negli anni scorsi, infatti, il presidente di Confindustria Brindisi Lippolis ha avuto la buona intuizione di convocare il cosiddetto “metodo Brindisi” (con le organizzazioni dei lavoratori) salvo poi farlo naufragare miseramente, con l’aggiunta di polemiche sterili (nei confronti degli amministratori pubblici del momento) che quel “metodo” lo hanno fatto davvero a pezzi. Dalla sede di corso Garibaldi, insomma, hanno voluto farci credere che le colpe dei mancati investimenti erano da attribuire esclusivamente ai ritardi nella concessione di autorizzazioni ed ai “no” pronunciati dalla politica. E invece il mondo delle imprese ha fallito allo stesso modo, proponendo investimenti per Brindisi solo se cofinanziati con denaro pubblico. Qualche esempio? Gli accordi di programma che in passato hanno riguardato la Sanofi e la Jindal, così come gli aiuti ricevuti dall’azienda aeronautica GSE prima di chiudere i battenti. Ed ancora il denaro pubblico chiesto da ACT Blade per investire a Brindisi e l’utilizzo di fondi del PNRR da parte di Edison nel caso in cui si dovesse realizzare il deposito di Gnl.
E questo voler mettere tutti contro tutti non ha fatto altro che determinare le attuali condizioni di impasse e di profonda incomunicabilità tra le parti in causa. Un tranello in cui sono cascati anche i sindacati che per parlare di sviluppo hanno organizzato tre diverse iniziative, di cui due addirittura contemporaneamente! Al posto delle autorità locali avrei scelto di disertarle tutte, con il chiaro intento di far capire che si sta percorrendo una strada sbagliata. E invece niente. Sindaco, assessori regionali e presidenti di associazioni di categoria hanno fatto i loro interventi per poi andar via. Una sorta di passerelle inutili e sconfortanti, tanto più se si considera che nel frattempo c’è chi – nel Ministero del made in Italy – aspetta ancora che da Brindisi arrivino delle proposte concrete su che tipo di sostegno si chiede al Governo per favorire una ripresa economica che – si badi bene – non passa dalla politica, ma dalla capacità di far giungere in città chi vuole davvero investire, possibilmente senza parlare di rifiuti e di produzioni inquinanti. Perché, almeno da questo punto di vista, abbiamo già dato sin troppo.
Mimmo Consales