Meno di un anno fa, il 21 marzo 2022, il Governo nazionale in carica in quel momento venne informato dal vice ministro allo Sviluppo Economico Pichetto Fratin che Brindisi chiedeva con forza, con un coro unanime, l’apertura di un “tavolo di crisi” (presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) per una provincia fiaccata dalla crisi, in preda agli effetti devastanti del processo di decarbonizzazione e desertificata da una deindustrializzazione incontrollata. Il tutto, in aggiunta ad un conseguente decremento occupazionale che rende l’economia di questo territorio ancora più debole.
In quel momento nessuno avrebbe potuto immaginare che in undici mesi e mezzo sarebbe accaduto un vero e proprio miracolo, con il nostro territorio divenuto un formidabile polo di attrazione di nuovi investimenti.
Siamo su “Scherzi a parte”?, No, più semplicemente con una buona strategia di marketing la sezione brindisina di Confindustria ha trasformato questa “economia in ginocchio” nel “paese di Bengodi”, quantomeno per un giorno, il tempo necessario ad ospitare in città il presidente nazionale Carlo Bonomi ed il Ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, oltre che a distribuire un po’ di biglietti da visita.
Lo slogan scelto per l’occasione, “finalmente Brindisi”, in effetti rappresenta un catalizzatore di attenzioni, tanto più perché il presidente Gabriele Lippolis ha spiegato in una nota che ormai Brindisi è diventato realmente un attrattore di investimenti, a partire da ACT Blade e da Edison, per proseguire con Falk e con chissà quanti altri ancora.
Cosa possa aver generato questa inversione di tendenza non è proprio dato saperlo, visto che “la città in cui non si può muovere un chiodo per colpa di un sindaco che dice no a tutto” (parole pronunciate in più occasioni da chi rappresenta il mondo imprenditoriale) è amministrata sempre dallo stesso primo cittadino, che il Piano Urbanistico Generale non è stato varato, che il Documento Preliminare Programmatico è stato approvato senza aver tenuto in alcuna considerazione le indicazioni di Confindustria, che dal Governo nazionale (fatta eccezione per la ‘mancetta’ di 50 milioni rivenienti dal CIS) non sono giunte le risorse sperate, che da grandi player come l’Enel non sono mai giunte indicazioni chiare su cosa accadrà a Brindisi dopo la chiusura della centrale di Cerano, che i corposi interventi di bonifica dell’area industriale non sono mai partiti (e forse mai partiranno), che il comparto aeronautico continua a far registrare decrementi occupazionali (vedi gruppo Dema), che per la chimica è un momento di riflessione e che la transizione energetica al momento ha visto qualcosa di concreto solo in riferimento all’annuncio di Falk per un corposo investimento a Taranto.
E’ evidente, pertanto, che se realmente si parla di “finalmente Brindisi” ci siamo persi qualcosa per strada. Lo speriamo di vero cuore, perché diversamente sarebbe come vivere una scena del film di Tornatore “Stanno tutti bene” in cui il vecchio genitore (Marcello Mastroianni) vive per anni ed anni nell’illusione che i suoi figli “Stanno tutti bene”. Salvo scoprire (quando decide di andarli a trovare) che la realtà è cosa ben diversa, se non addirittura drammatica.
Insomma, se oggi Brindisi è diventata un fantastico attrattore di investimenti e se sono pronti a partire cantieri a più non posso come mai non si ha più traccia del cosiddetto “Metodo Brindisi” in cui sindacati e associazioni di categoria (su iniziativa di Confindustria) avrebbero dovuto confrontarsi? E come mai non c’è un solo momento di confronto tra il mondo imprenditoriale e le istituzioni locali? E’ davvero immaginabile che, nascosti dietro un angolo, ci siano migliaia di operai pronti a costruire decine di nuove aziende? E tutto questo, come già detto, in meno di un anno da quando fu lanciato un grido di dolore del territorio ed affidato al vice ministro Pichetto Fratin per far intervenire il Governo al capezzale di Brindisi?
La triste realtà, purtroppo, è cosa ben diversa e parla di decine di aziende che continuano a chiudere i battenti (anche in settori vitali come la metalmeccanica, l’aeronautica e l’edilizia), di un’area industriale dove si fa fatica a capire se esiste un solo ettaro libero da vincoli di carattere ambientale, di una mancanza di “vision” del territorio e di tante vocazioni naturali che non decollano proprio per assenza di investimenti adeguati.
Ma per un giorno (o anche solo per qualche ora) possiamo pure accettare che Brindisi si trasformi nel “paese di Bengodi”. In fin dei conti, una accattivante foto di famiglia in abiti da cerimonia e con lo sfondo di un capannone a bordo banchina e di un bombolone pieno di gas sta proprio bene sul mobile del salotto. Servirà a fare bella figura quando verranno parenti ed amici a trovarci. E non fa niente se a tavola ci sarà solo il solito piatto di pane e cipolla (con il rischio concreto che non ci sia neanche quello…).
M.C.