Venerdì 21 settembre, con la proiezione diI pugni in tascadi Marco Bellocchio avrà avvio, presso il museo archeologico “Ribezzo”, la rassegna cinematografica di film del e sul Sessantotto prevista nell’ambito di In_Chiostri 2018.Il potere dell’immaginazione.
A proposito del film, Jean De Baroncelli scrisse su “Le Monde”: “Attaccando direttamente la cellula familiare, che è in Italia la meglio protetta e la più rispettata di tutto il corpo sociale, denunciando con una violenza sbalorditiva la commedia dei buoni sentimenti che regge le relazioni tra i genitori e i figli e dei figli tra di loro, Marco Bellocchio si rivolta anche contro tutte le altre convenzioni, morali, religiose e borghesi che soffocano i suoi eroi”. Bellocchio descriveva una generazione che andava acquisendo, tra molte contraddizioni, la consapevolezza dei limiti di un’istituzione familiare quale era stata sino a quel momento interpretata. Roger Tailleur(“Positif”, n. 72, dicembre 1965) rilevò:
“Bellocchio mostra a profusione, con un umorismo acido che simula l’oggettività. Benché nascosto dietro l’alibi patologico, afferma con violenza cose che gli stanno a cuore, attraverso questa sorta di incubo buffonesco di cui ha probabilmente sognato le premesse, e che porta sullo schermo spingendolo ai suoi limiti estremi. Contrario a ogni ordine familiare e religioso, se ne vendica attraverso un oltraggio sfrenato, ma allo stesso tempo si guarda bene dall’identificarsi totalmente con il suo saccheggiatore, che caratterizza, mi pare, con alcune notazioni naziste (pronuncia in tedesco i suoi soliloqui blasfemi, stermina preferibilmente gli infermi…).I pugni in tasca, premiato a Locarno, invitato a Venezia, Rio, New York, Acapulco, fa il suo giro del mondo. Non è che giustizia per Bellocchio, la sola grande rivelazione dell’anno”. Alberto Moravia scrisse (“L’Espresso”, 2 gennaio 1966) comeMarco Bellocchio avesse “dato fondo in questo suo I pugni in tascaa tutto ciò che di solito costituisce il mondo della giovinezza. In questo film c’è di tutto, davvero: odio e amore della famiglia, ambiguità dei rapporti fraterni, attrazione verso la morte, entusiasmo per la vita, volontà astratta di azione, furore impotente, malinconia morbosa, violenza profanatoria e infine, a sfondo di tutto questo, il senso cupo e fatale di una provincia senza speranza. Questa complessa e torbida materia non è però espressa in maniera crepuscolare come quasi sempre avviene nel cinema e nella letteratura italiana, bensì è affrontata, caso raro, drammaticamente. Il regista ha sentito che la violenza della sua polemica contro una certa società non poteva giustificarsi se non esplodendo in tragedia; e così si è posto il problema di come arrivare a inserire fatti grossi quali il matricidio e il fratricidio senza far saltare la fragile cornice naturalistica.