VIA DELLA SETA, LA UIL: “NON CI VINCOLIAMO ALLA REALIZZAZIONE DELLE ZES E FACCIAMO AUTOCRITICA”

Seguiamo con attenzione ciò che sta avvenendo sul versante politico-istituzionale riguardo la nascita della nuova Via della Seta.

Il progetto, di livello mondiale, è stato presentato nel 2013 dall’attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese. L’obiettivo dichiarato e sempre confermato è  quello di realizzare nuove infrastrutture logistiche, commerciali, di trasporto navale e aereo, stradale e portuale in grado di migliorare, favorire gli interscambi mercantili tra le nazioni asiatiche ed europee che hanno aderito, ma soprattutto per agevolare, aumentandolo, il traffico turistico vitale come mai per lo sviluppo dell’economia italiana, e degli uomini di affari della Cina, attualmente in forte espansione. Un piano di investimenti iniziali finanziato dalla Repubblica Popolare Cinese con oltre 60 miliardi di dollari, integrato in questi giorni da altre cospicue risorse (60 miliardi), da destinare a nazioni africane sottosviluppate per la costruzione di strade e linee ferroviarie. L’Italia, uno dei terminali europei, è considerata strategica non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il capillare sistema di connessione delle strutture logistiche (strade, porti, aeroporti), collegamento con impianti produttivi, attrezzature e servizi esistenti nel nostro Paese (l’ottavo al mondo per capacità industriale). Il governo italiano nella persona del ministro dell’economia e delle finanze Tria, nell’incontro con il primo ministro cinese della settimana scorsa, ha confermato l’interesse dell’Italia perfezionando gli accordi in essere con indicazioni più dettagliate, essendo il nostro Paese sbocco naturale in Europa per la presenza di “alcuni porti italiani dell’Adriatico settentrionale e del Tirreno del Nord”, scartando a priori tutti gli scali meridionali e tra questi Brindisi.

Dichiarazioni che hanno creato discussioni e prese di posizione sulla legittimità di queste dichiarazioni e, si sa, quando non si è d’accordo all’inizio dell’opera, c’è il pericolo che le situazioni si complichino ed alla fine si rischia di rimanere con un pugno di mosche in mano.

Tra le altre quelle del Presidente dell’Autorità portuale dell’Adriatico meridionale Patroni Griffi che ha sollevato critiche su questa scelta, difendendo i porti pugliesi già attrezzati, secondo lui, al bisogno. Il punto di forza sarebbe, tra l’altro, l’attuazione delle ZES per rendere il nostro territorio più concorrenziale. Questo progetto, anche per ragioni burocratiche, è in forte ritardo perché la regione Puglia ha approvato da appena un mese i Piani strategici di sua competenza che, sicuramente, ne rallenteranno la realizzazione. Per cui paradossalmente la posizione assunta dal Presidente Patroni Griffi potrebbe danneggiare gli interessi del porto di Brindisi se non si si dovessero realizzare in tempo i progetti ZES perché non sarebbe pronto ad accogliere i traffici commerciali e turistici previsti dalla Via della Seta. Ed allora non si faccia, come al solito, lo sterile ragionamento: perché a loro SI e a noi NO. Un inutile dibattito che non porta da nessuna parte.

In altri tempi la nostra città ed il suo porto hanno avuto la meglio confrontandosi e vincendo altre battaglie. Una per tutte: essere riconosciuta come unico scalo europeo per le rotte della Valigia delle Indie. È vero, erano altri tempi. Brindisi era in ottima salute in tutte le attività produttive ed economiche, supportata e considerata, anche politicamente, come meritava. Oggi, purtroppo, non è così: saccheggiata ed umiliata da anni da una classe dirigente che guarda al piccolo orticello e non si occupa del grande potenziale di sviluppo da salvaguardare, il porto in primis. Una sana autocritica da fare che potrebbe aprire nuove e più convenienti prospettive. Ma siamo ancora in tempo?

Antonio Licchello

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