Uno degli obiettivi qualificanti che, a giudizio del Partito Repubblicano Italiano, dovrà porsi la Amministrazione che si andrà prossimamente insediare è quello della adozione di un Piano per la eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA), da concordare con gli Ordini professionali degli Architetti, degli Ingegneri e dei Geometri e con le associazioni locali che si occupano di disabilità.
Si tratta, anzitutto, di svolgere una attenta analisi dei principali ostacoli fisici che limitano la fruizione degli spazi cittadini, valutando l’accessibilità delle strutture residenziali e degli edifici pubblici da pare delle persone con differenti gradi di disabilità.
Ma incorrerebbero in un grave errore coloro che ritenessero che la progettazione senza barriere architettoniche sia una progettazione “dedicata” unicamente alle persone con disabilità, con soluzioni ed accorgimenti rivolti espressamente ed unicamente a soddisfare un’utenza con esigenze speciali.
Questo è sicuramente un approccio che va decisamente superato e considerato come un retaggio del passato.
Progettare il superamento delle barriere architettoniche prevedendo spazi speciali o dedicati è stata l’idea base di molte soluzioni spaziali di diversi decenni or sono, quando si parlava ancora di progettazione per “invalidi” o “portatori di handicap”.
Nel frattempo la cultura della progettazione senza barriere si è evoluta e si è aperta ad un approccio inclusivo con l’introduzione dei principi della “Progettazione Universale”.
Lo stesso concetto di disabilità si è evoluto ed è stato codificato nei principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità: non più spazi riservati ma luoghi per tutti, accessibili ed inclusivi. Ed ancora: ambienti e servizi idonei a favorire la socializzazione senza discriminare, indipendentemente da condizioni di limitazione fisica, sensoriale e cognitiva.
Del resto la stessa normativa di riferimento, ed in particolare la Legge 13 del 1989, non prevede soluzioni e spazi dedicati estendendo il concetto di eliminazione delle barriere architettoniche, che vengono definite secondo tre tipologie di ostacoli:
gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ha una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi e attrezzature;
la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettano l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque ed in particolare per i non vedenti, gli ipovedenti ed i sordi.
A quest’ultimo riguardo già dotare gli impianti semaforici di adeguati sistemi di segnalazione costituirebbe un importante segnale della volontà di intraprendere il cammino della Progettazione senza barriere.
Del resto progettare senza barriere ha anche una convenienza economica.
Il costo sociale di un edificio, un servizio una porzione di città inaccessibile lo paghiamo prima o poi tutti: quando abbiamo dei bambini piccoli; quando siamo limitati nella nostra mobilità o nella percezione a motivo di infortuni o patologie; quando invecchiamo.
E sono poco sostenibili anche le progettazioni che privilegiano spazi e componenti speciali. Si pensi ai servizi igienici: progettare un bagno che vada bene per tutti elimina i costi di un bagno speciale separato.
In conclusione una città senza barriere, quale noi auspichiamo diventi Brindisi, ne aumenta l’attrattività e comporta ricadute positive anche dal punto di vista economico oltre che sociale.