Intervento di Carmine Dipietrangelo di Tenute Lu Spada:
“In questi giorni di vendemmia, su molte testate anche locali, la viticoltura è all’attenzione della opinione pubblica, a conferma del crescente e ritrovato interesse verso il settore e la sua specificità territoriale. La viticoltura e la vitivinicoltura brindisina hanno avuto storicamente un ruolo importante nel settore e hanno ancora grandi potenzialità di cui dovremmo essere noi stessi i primi e orgogliosi estimatori e difensori. L’attenzione verso la vendemmia non va dispersa e consente ad uno come me, neofita e appassionato di vigne e di vino, fare alcune considerazioni.
Il settore ha fatto, negli ultimi anni, molti passi in avanti.
Grazie a quegli operatori, vecchi e nuovi che hanno resistito e creduto, investendo con lungimiranza, la nostra vitivinicoltura sta raggiungendo livelli di qualità ormai riconosciuta dal mercato e dai consumatori. Ma mentre molti vini pugliesi si stanno affermando sui mercati, le uve dei vigneti brindisini non tutte vengono trasformate nel territorio. Sono ancora utilizzate altrove e per altri vini. Si continua a lavorare per altri!
Se la viticoltura sta acquistando sempre più importanza e valore contribuendo alla rivalutazione dei territori vocati e dei vitigni autoctoni, quella brindisina, nel contesto pugliese e nazionale, ha tutte le condizioni e le potenzialità per recuperare e per riproporsi con il suo “terroir”, con i suoi vitigni autoctoni (negroamaro, malvasia nera, susumaniello), con il suo vino.
Da tempo affermo che Brindisi deve recuperare e credere nelle sue potenzialità agricole e vitivinicole. Può essere un contributo ad un suo nuovo ma “vecchio”sviluppo. Dopo la crisi di questi anni e l’incipiente esaurimento del vecchio modello di sviluppo impostato sulla industria di base(petrolchimica) e di servizio(energia da fossili) i contorni di un nuovo sviluppo possono avere nell’agricoltura un solido riferimento. Non un ritorno ad un passato anche se esso ha contribuito a fare la storia del vino e della sua economia.
Dopo lo svellimento incentivato dei vigneti negli anni 70/80((si è passati in provincia di Brindisi dai 33.500 ettari vitati censiti in tutta la provincia nel 1970 ai circa 11.000 del 2016 a tutto vantaggio della viticoltura veneta e toscana ), dopo la crisi del metanolo, dopo quella delle cooperative sociali e dopo l’asservimento agli impianti fotovoltaici di aree agricole pregiate e vocate alla vite, si registra anche a Brindisi un ritorno di interesse verso la vitivinicoltura.
Ben 4.000 ettari dell’agro cittadino (il 50% della superficie agraria provinciale di tutta la superficie dove si produce uva da vino) ,tra vecchi e nuovi impianti, sono coltivati a vigneto per uve da vino. Assieme ai 1.300 ettari dell’agro di Mesagne costituiscono la zona della Doc Brindisi(una delle poche città che da’ il proprio nome ad una doc). Una Doc, tra le 29 pugliesi, poco valorizzata e tutelata, poco utilizzata dagli stessi viticoltori: su circa 5000 ettari vitati solo 337 sono stati registrati a doc Brindisi!
Il consorzio di tutela della doc brindisi rimane dormiente, non sviluppa iniziativa nell’area e, come dice qualcuno, subalterno a interessi di altri territori. L’ipotesi di trasformare la doc brindisi in DOCG sembra scomparsa dagli impegni e dai programmi dello stesso consorzio. Mi auguro di no, perché rimane quella la strada per la valorizzazione dei nostri vitigni, del nostro vino, del nostro territorio.
A novembre dello scorso anno il parlamento ha approvato il Testo Unico del Vino che semplifica e riunisce le norme del settore.
L’art. 1 di questa legge recita testualmente: “La Republica salvaguarda, per la loro specificità e il loro valore in termine di sostenibilità sociale, economica, ambientale e culturale, il vino prodotto della vite, e i territori viticoli, quale parte del patrimonio ambientale, culturale, gastronomico e paesaggistico italiano, nonché frutto di un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni”.
Questo articolo della legge può diventare il manifesto per rilanciare e valorizzare la vitivinicoltura brindisina. Ci sono oggi favorevoli condizioni per ricostruire a Brindisi una nuova economia e una cultura del vino. Ci sono competenze, pratiche, tradizione e storia. Oggi più che mai è necessario mettere e mettersi assieme(produttori, tecnici, associazioni, istituzioni), cooperare in maniera innovativa, ripensare e rafforzare le forme associative di tutela, di ricerca, di promozione del prodotto vino e del suo territorio. Non servono prime donne ma imprenditori e produttori che devono saper cooperare nella valorizzazione di Brindisi, terra di antichi vigneti e di vino buono.
I produttori, tutti, devono stare in prima fila. Brindisi e la sua agricoltura è entrata nel Gal dell’Alto Salento di Ostuni, anche se sarebbe stato più opportuno far parte di quello di Mesagne, data la contiguità agricola e viticola. In altri territori i Gal sono stati e sono strumenti oltre che fonti di finanziamento per valorizzare territori viticoli. Non si perda, a brindisi, anche questa occasione.
L’economia e la cultura del vino non possono essere solo quelle che si incontrano negli eventi estivi, tipo sagre paesane anche se ambiziose e di livello o esaurirsi con essi. Non sono sufficienti, disperdono energie in inutili e invidiose competizioni e rischiano di diventare solo spettacolo ed indistinta sagra di enogastronomia. C’è bisogno di iniziative che con continuità e periodicità siano in grado di aiutare capacità di conoscenza, di innovazione, di promozione, di commercializzazione e di valorizzazione dei nostri vini.
Le feste passano… il negroamaro, resta nella vigna, nelle cantine e sul mercato dove bisogna stare con competenza e passione.
Si faccia invece tesoro degli errori commessi o delle esperienze già fatte per avviare percorsi di nuovi eventi per promuovere il nostro vino e il territorio che lo produce. Il consorzio di tutela della Doc Brindisi e il programma del Gal Alto Salento in corso di definizione devono vedere Brindisi e i suoi produttori agricoli protagonisti. Basta farsi rappresentare da chi è lontano da Brindisi o di lavorare per consentire che il valore aggiunto del nostro vino arricchisca altri territori.
Vorrei vedere Brindisi “scoperta” e rappresentata attraverso “un viaggio” che parte dal bicchiere(vino di negroamaro e di susumaniello da degustare), attraversa il territorio e il paesaggio(quello vecchio e nuovo dei vigneti brindisini), passa dalle cantine ed arriva alla cultura(storia, tradizione, ricerca, innovazione).
Il negroamaro brindisino come altri suoi vitigni autoctoni (susmaniello innanzitutto) hanno la loro specificità (sentono il clima del mare) ed hanno tutte le potenzialità per imporsi con una propria identità.
L’identità del vino ha un valore economico e non è solo un racconto da comunicare. L’identità è un percorso che affonda le radici nel passato e che si apre al futuro. Brindisi, terra di antichi vigneti e di vino buono, può essere tutto questo. Solo così l’attenzione verso la vendemmia in corso potrà essere l’occasione per ritrovarsi come comunità che sa valorizzare il territorio, le sue vigne, i suoi vitigni, il suo vino”.
Carmine Dipietrangelo