Sulle vicenda del Dormitorio di via Provinciale San Vito si susseguono tonnellate di parole intrise di ipocrisia, tendenti a condannare chi “osa” dire di essere contrario alla realizzazione di una tendopoli nel proprio quartiere. Una sorta di “buonismo” che serve ad allontanare il rischio di essere definiti razzisti. La situazione a Brindisi, però, è diventata talmente grave da non consentire ulteriori perdite di tempo. Partiamo dall’inizio. Il Dormitorio in via Provinciale San Vito è nato nel 2004, sulla scorta di una scelta dell’Amministrazione Comunale dell’epoca finalizzata a liberare il piazzale della stazione da decine di immigrati che lo avevano trasformato in un accampamento, con tanto di gabinetti a cielo aperto. Il problema esisteva e andava risolto e quindi non ci azzardiamo a mettere in discussione quella scelta. La realtà è che il problema non avrebbe dovuto risolverlo il Comune, facendosi carico di un fardello che proprio dal 2004 pesa esclusivamente sulle spalle dei brindisini. Doveva essere lo Stato a occuparsi del problema-immigrati e, non a caso, adesso è ben chiaro l’impegno del Ministero dell’Interno a trovare soluzioni per far fronte alla presenza così massiccia di ospiti extracomunitari, L’Amministrazione Comunale, insomma, sia pure per finalità nobili legate all’accoglienza, si è fatta carico di un problema enorme, dovendo da subito constatare che lo Stato l’avrebbe abbandonata a se stessa. Per anni quel Dormitorio (non adatto a ospitare tanta gente) ha rappresentato un rischio gravissimo per gli ospiti, ma anche per l’allora sindaco Mennitti su cui ricadevano responsabilità civili e penali. Tutti (Prefettura, forze dell’ordine e anche gran parte delle associazioni del volontariato) hanno fatto finta di non vedere, girandosi semplicemente dall’altra parte. Quando ho accettato la candidatura a sindaco, ho posto come uno dei primi interventi la ristrutturazione totale di quel Dormitorio e la necessità di dar vita ad un regolamento per l’accesso alla struttura. Eletto sindaco, ho provveduto a reperire le risorse per mettere in sicurezza il Dormitorio e per renderlo più “umano”. Abbiamo trasferito gli ospiti della struttura in una scuola abbandonata nel rione Perrino (dopo un confronto con i cittadini del posto, avvenuto nel corso di una assemblea pubblica a cui ho partecipato personalmente). Promettemmo che sarebbe stata una soluzione assolutamente provvisoria e così è stato. Nel Dormitorio facemmo realizzare due blocchi di bagni e di docce, mentre all’interno furono creati del separè, dotando ogni lettino di armadietto per gli effetti personali. Creammo dei posti per le ricariche dei telefonini (per evitare la presenza pericolosissima di prolunghe elettriche) e climatizzammo la struttura. Un gioiellino destinato ad ospitare in condizioni dignitose 82 immigrati. Ben presto, però, fummo abbandonati dalla Caritas, che decise di non occuparsi più della gestione del dormitorio. Per non gravare ulteriormente sulle casse del Comune, ci rivolgemmo (con apposita gara) alle associazioni di volontariato, a cui riconoscemmo anche una sorta di rimborso spese. Ben presto, però, ci si è resi conto che la gestione dell’ordine pubblico nel Dormitorio era impossibile. Gli 82 ospiti sarebbero dovuti rimanere non più di sei mesi, creando una rotazione. E invece la struttura fu subito presa d’assalto da almeno duecento immigrati e nel tempo non sono mancati episodi di violenza, con chi aveva diritto che si è trovato il suo letto occupato da altri. Chiedemmo inutilmente l’intervento dello “Stato” per imporre il rispetto delle regole (solo la presenza delle forze dell’ordine poteva consentirlo) ma fummo lasciati da soli e la conseguenza è ancora sotto gli occhi di tutti. Oggi la gestione commissariale vuole effettuare un nuovo intervento di ripristino nel dormitorio e limitarne l’accesso a qualche decina di immigrati. Ma se lo “Stato” sarà assente ancora una volta , assisteremo ad un altro fallimento.
I cittadini questo lo hanno capito e quindi nessuno può condannarli se chiedono il rispetto delle regole, se si preoccupano per l’eventuale realizzazione di una tendopoli nel proprio quartiere e soprattutto se si pongono quesiti che meritano una risposta precisa. Brindisi, infatti, ospita da anni una grande struttura di accoglienza (Cara e Cie) presso Restinco, che vede impegnati uomini delle forze dell’ordine e del Reggimento San Marco. E’ un tributo importante che questa città paga in termini di accoglienza. Ed allora ci si chiede il perché debba continuare ad esistere anche un dormitorio di quelle dimensioni in via Provinciale San Vito, “dimenticato” dallo Stato ed a totale carico della comunità brindisina? Perché una struttura analoga non esiste nelle altre città della Puglia a carico dei rispettivi comuni? Perché non dividere gli ospiti del dormitorio tra i comuni della provincia? E’ razzismo porsi questi problemi? Oppure é semplicemente la consapevolezza che l’accoglienza fatta così serve solo a creare un ghetto al cui interno (i perbenisti ed i “buonisti” dell’accoglienza a tutti i costi fanno finta di non saperlo) ci sono condizioni igienico-sanitarie da terzo mondo e si sviluppano “traffici” incontrollati?
Almeno in questo, quindi, lo “Stato” si ricordi che Brindisi ha già dato tanto e non può continuare ad essere considerata “terra di nessuno”.
Mimmo Consales