Se ne parla ormai da tempo, ma le conseguenze drammatiche sul piano economico ed occupazionale per il territorio brindisino probabilmente sono state ampiamente sottovalutate. La centrale Enel di cerano sta chiudendo i battenti, è ormai ferma da mesi e sarà definitivamente dismessa a fine anno, mentre nel Petrolchimico si è deciso di disattivare il cuore dello stabilimento con la chiusura, il mese prossimo, del cracking.
Un segno evidente della volontà di Eni di abbandonare la chimica di base che per una realtà come Brindisi significa disimpegno totale e definitivo.
Certo, il gruppo Eni ha messo sul piatto della bilancia investimenti alternativi, ma non è chiara la tempistica, così come non si conoscono i reali ritorni occupazionali.
Calma piatta, invece, sul fronte Enel. La società elettrica, come è noto, non ha alcuna intenzione di investire più un euro a Brindisi e tutto ciò che sarà fatto da oggi in poi risponderà solo ad una logica di dismissione degli impianti esistenti.
Va letto in questo modo un incontro svoltosi presso Confindustria, durante il quale si è parlato unicamente della dismissione del nastro trasportatore che insiste sulle aree portuali, così come dei macchinari utilizzati per la movimentazione del carbone. L’obiettivo è di liberare le aree portuali in tempo utile per la scadenza della concessione fissata a fine anno. In tutto questo si configura una porzione di commesse per le imprese locali. Ma parliamo di poca cosa che certamente non rappresenta una garanzia per il futuro delle stesse imprese e delle rispettive forze-lavoro.
Ecco, partendo da questa consapevolezza davvero non si comprende il motivo per cui c’è un sostanziale silenzio generale (non basta qualche comunicato stampa di organizzazioni sindacali o datoriali), come se non si percepisse il rischio imminente che – se non gestito – potrebbe realmente sfociare in un dramma anche di carattere sociale.