E’ il caso di prendere in seria considerazione quanto rappresentato qualche settimana addietro dal ministro della cultura dell’attuale governo nazionale, allorquando ha sentenziato che “di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’antologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice” (parbleu!), in quanto, almeno per ciò che il cittadino della strada intuisce da tale guazzabuglio di parole, la situazione economica e sociale dell’Italia risulta essere alquanto critica.
Ed in effetti, tale criticità viene realmente cristallizzata da alcuni dati resi pubblici da autorevoli ed attendibilissime fonti: sette milioni di poveri assoluti; il 7,6% di cittadini che rinunciano alle cure in quanto impossibilitati a pagarsele a causa del loro precario bilancio familiare, atteso che le liste d’attesa delle strutture pubbliche sono vergognosamente lunghe; spese per l’istruzione inferiori rispetto a quelle destinati agli interessi del debito pubblico; sistema economico ed industriale in evidente affanno.
Per onestà intellettuale appare doveroso rappresentare che il panorama descritto ha la sua genesi non certamente da ieri, ma dal momento in cui i vari governi succedutisi nel tempo hanno imperniato la propria azione più sui compiti urgenti anziché su quelli che guardano lontano; dal momento che ha prevalso l’operato di chi vive di politica proteso più a corrispondere ai giochi di ogni giorno ed alla parte più vantaggiosa delle decisioni, che non l’operato di chi vive per la politica, proteso, di contro, a perseguire il bene comune, ad essere l’artefice della costruzione di una felicità pubblica diffusa e percepita.
Dove porta, pertanto, la strada ultimamente definita con enfasi “La Via Italiana”, in un contesto sociale in cui predomina l’azione del “politico che guarda alle prossime elezioni e non lo statista che guarda alle prossime generazioni” (cit. A. De Gasperi)?
I dubbi sulla valenza dell’ennesima boutade lanciata dai soliti professionisti della parola sorgono, quindi, spontanei e legittimi.
Snobismo elitario; apotismo prezzoliniano, la cui connotazione è rinvedibile nell’insofferenza nei confronti della politica, dei partiti di massa e delle istituzioni democratiche, astensionismo trionfante, decadimento dell’ethos: queste sono, purtroppo, le peculiarità di una fase storica di oggettiva debolezza della democrazia, in cui inevitabilmente aumenta la baldanza e l’aggressività dei nemici della stessa.
E la storia, come noto, ne offre una inconfutabile testimonianza.
Purtroppo, anche la nostra città, la nostra Brindisi, viene contraddistinta da tali peculiarità.
Soffocata da una crisi economica senza precedenti, che ha toccato in maniera virulenta le ansietà sociali, Brindisi paga, altresì, lo scotto di anni di governi cittadini caratterizzati da una costante precarietà, responsabile di inefficienze, consociativismo, indolenza, indecorosa tradizione di ritardi, in cui ha imperato massivamente la conclamazione delle false virtù, scudo dei pavidi, e non quelle vere e silenziose che sono l’attuazione delle cose che si dicono.
Ahinoi, tanto è stato!
E ora?
Ora si vivano le imminenti feste natalizie e di fine anno con la dovuta serenità, ancorché con la speranza, che non deve mai venir meno, di poter intraprendere realmente “La Via Brindisina” che possa generare quel riscatto economico e sociale atteso oramai da decenni.
Buon Natale e buon anno, Brindisi.
Francesco D’Aprile