Ho negli ultimi tempi, mio malgrado e per alcune drammatiche vicende familiari, frequentato l’ospedale Perrino di Brindisi, usufruendo dei servizi e delle cure del pronto soccorso ed anche di alcuni reparti.
Lo dico in premessa per sgombrare il campo da qualsiasi fraintendimento o equivoco: l’indiscutibile professionalità e preparazione di tutti i medici incontrati, le loro attenzioni e il notevole impegno nonostante il disumano carico di lavoro sono garanzia per chiunque abbia necessità di rivolgersi al nosocomio brindisino.
Tutto questo però va considerato in un quadro di vera e propria emergenza nel quale i sacrifici e la dedizione di medici e personale non riescono a colmare il precipizio nel quale sta sprofondando il nostro ospedale e più in generale la sanità nella nostra provincia (e nella regione, da quanto si legge sui giornali).
Le aggressioni e i deprecabili episodi di violenza contro medici e personale in varie strutture sanitarie della regione vanno ovviamente stigmatizzati e condannati così come vanno perseguiti i protagonisti di queste assurde vicende ma, sia chiaro, affrontare i drammi della sanità pugliese come una mera questione di ordine pubblico è insopportabile ed è soltanto il tentativo di chi vuole sfuggire alla proprie responsabilità.
Non è un caso se il sottosegretario Gemmato e il presidente della regione Emiliano parlano praticamente la stessa lingua ed entrambi invocano forze dell’ordine, leggi speciali, daspo, porto d’armi come se, invece di ospedali e vita delle persone, si parlasse di contrasto alla criminalità organizzata (che per la verità nemmeno affrontano con questo piglio deciso).
No, il disastro nella sanità pugliese non è una questione di ordine pubblico. La situazione insostenibile cui si è giunti oggi ha radici molto profonde e responsabilità trasversali, nomi e cognomi noti sia a Gemmato che a Emiliano e a tutti gli altri soloni che oggi pontificano a mezzo stampa.
Nel Perrino di Brindisi si lavora quotidianamente in uno stato di perenne emergenza con reparti e pronto soccorso coperti da pochissimi medici e personale d’ausilio, lacune strutturali gravi e situazioni igieniche rischiosissime per la salute di degenti e ospiti della stessa struttura.
Gli appelli lanciati nel tempo da medici e lavoratori sono caduti nel vuoto, inascoltati e la politica oggi non può far finta di non sapere che più che ai tetti dei nostri ospedali e a chi ci lavoro sotto, si è pensato ai tetti di spesa, lasciando inalterati (e quindi esigui) quelli per il personale e dirottando più risorse verso le strutture private.
Tutto questo significa far lavorare i, pochi, medici molto di più e in affanno con tutte le ripercussioni del caso: dalle liste d’attesa infinite per cui chi necessita di cure e non può permettersi il privato è costretto finanche a rinunciare, al pronto soccorso ingolfato all’inverosimile in cui medici sono costretti a lavorare in condizioni di stress e continue tensioni, fino alle violenze, esecrabili e condannabili sempre, mancherebbe altro.
Ma, va detto, sentirsi oggi raccontare le fesserie degli sceriffi pronti alla militarizzazione è soltanto un’ulteriore beffa.
Le soluzioni ci sono, le risorse anche.
È solo questione di volontà.
Bisogna ripartire dall’ art.32 della nostra costituzione, per ricordare a chi finge di non sapere e sposta il problema più in là, che la salute è “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Occorre scendere in piazza e ricordarlo a chi governa. Tutti, nessuno escluso.
Giuseppe Cellie