La tragica morte di Satnam Singh, bracciante agricolo senza contratto di 31 anni, privato di ogni tempestivo intervento medico di soccorso e abbandonato in modo disumano in strada, dopo aver perso un braccio in seguito a un infortunio sul lavoro, avvenuto in un’azienda agricola a Borgo Santa Maria, in provincia di Latina, ma anche l’esplosione avvenuta in queste ore in uno stabilimento situato a Bolzano, che ha provocato 8 feriti, di cui 6 in gravi condizioni, la morte a Mantova di un lavoratore di 34 anni schiacciato di un macchinario e quella di un diciottenne a Brambio schiacciato da un pezzo di mezzo agricolo, hanno riportato al centro dell’attenzione e della preoccupazione la questione della sicurezza sul lavoro e della emergenza infortuni, anche dei tanti che in tutti questi anni ha cercato di derubricare i drammi nelle fabbriche, nelle aziende e nei cantieri sotto il rassicurante, comodo titolo di “fatalità” o “incidente” rispetto ai quali non c’è rimedio possibile.
In questi primi quattro mesi del 2024, in base ai dati forniti dall’Inail, in Italia si sono verificati circa 193.979 infortuni, + 3,6% rispetto allo stesso periodo del 2023, con 206 morti, quasi 2 al giorno.
Dati che misurano il livello di preoccupazione di tutto il paese per quanto sta avvenendo nei posti di lavoro, perché non è normale che in un paese avanzato come il nostro ci sia una lista così lunga di morti e di infortuni.
Questo dimostra che i ritmi, gli orari e l’organizzazione del lavoro nel loro complesso sono spesso inadeguati a tutelare la salute e l’integrità di chi esce da casa al mattino per andare a lavorare e avrebbe il sacrosanto diritto di ritornare la sera a casa, ai propri affetti, sano e salvo.
E’una tragica carneficina, che si aggrava ogni giorno di più e che richiede risposte chiare e concrete da parte di tutti, dalle istituzioni, dalle aziende, dalle imprese per contrastare questo tragico fenomeno e garantire la dignità del lavoro, e la tutela della salute e della vita dei lavoratori, in molti casi inseriti nella categoria dei nuovi schiavi, specialmente, ma non solo, nel settore agricolo.
E’ paradossale comunque dover constatare che la strenua difesa del valore della vita, espressa da alcune culture presenti nella nostra società, si fermi davanti ai cancelli delle fabbriche, davanti ai luoghi di lavoro, che non faccia sentire la propria voce in quella direzione.
Credo che in questi incidenti, nella loro dimensione, ci sia il segno di un apparato economico culturalmente arretrato, che cerca la capacità competitiva nell’indiscriminato abbattimento dei costi, nell’intensificazione dei ritmi di lavoro e non sul suo valore e su quello del capitale umano.
Questo è il primo disvalore da combattere, non certo ispirandosi solo ai vecchi motivi di conflitto fra capitale e lavoro, che certo ci sono, ma si combatte se ognuno si trova impegnato a presidiare tutti i giorni questa frontiera, in cui non c’è posto per la difesa di quelle aziende in cui, a causa dell’organizzazione, dei ritmi, delle carenze nel sistema di sicurezza sul lavoro, avvengono gli infortuni e le morti, perché in quell’atteggiamento c’è solo la difesa corporativa di una posizione contraria al progresso, all’interesse del paese e alla tutela della vita dei lavoratori.
Io ho trovato drammatico il fatto che molto spesso, là dove accadono gli infortuni, le attrezzature e i dispositivi di sicurezza siano obsoleti e non funzionanti.
Ma è anche drammatico il fatto che i più giovani hanno hanno una elevata probabilità di infortunarsi, credo a causa della carenza di formazione, di esperienza e di consapevolezza del valore della sicurezza sul lavoro. Purtroppo si deve tener anche conto che talvolta gli infortuni avvengono in aziende che non esistono, in base a rapporti di lavoro che non esistono e per questo sfuggono ad ogni statistica, come mai avvenuti.
L’Amministrazione Comunale, per la parte che gli compete, può contribuire a costruire nel territorio la cultura della sicurezza, investendo nella formazione dei lavoratori in erba, proponendo nelle scuole, a partire dalle medie, un ciclo di conferenze, di lezioni, tenute da professionisti capaci, per radicare l’idea della sicurezza del lavoro in cui non ci sia posto per il lavoro non sicuro. Ma anche organizzando periodiche campagne informative e controlli più accurati nei luoghi dei lavoro appaltati e nelle attività delle società partecipate.
Non si deve comunque, come già avvenuto in passato, replicare l’errore di ritenere le vicende degli ultimi giorni e l’attuale dibattito oggetto della solita, faticosa routine politica, da consegnare quanto prima alla labilità della memoria. Lasciando tutto inalterato, senza attuare gli interventi neccessari per invertire la rotta.
Dal dibattito di questi giorni, da quanto sta avvenendo in Italia, deve emergere la consapevolezza del valore e dell’impegno continuo sul fronte della sicurezza. Una consapevolezza che deve ispirare la nostra quotidianità perché siamo arrivati al punto di non ritorno, che segna in modo indelebile la nostra vita sociale e l’autorevolezza delle istituzioni, perché finora non siamo stati capaci di opporci con efficacia ad una idea di gerarchia sociale in cui il lavoro dipendente è l’ultimo anello della catena, quello più debole, quello più trascurato.
Vincenzo Albano