L’esplosione avvenuta il 9 aprile scorso nella centrale idroelettrica di Bargi, sul lago di Suviana, nel bolognese, che ha causato la morte di sei lavoratori, un disperso e cinque feriti, alcuni in gravi condizioni, ma anche i tanti, troppi, morti e infortuni avvenuti in tante altre aziende e imprese in questi primi mesi del 2024, hanno riportato al centro dell’attenzione e della preoccupazione degli italiani il dramma della sicurezza e della emergenza delle morti e degli infortuni sul lavoro.
All’attenzione anche di chi cerca di confinare i drammi che avvengono nelle aziende e nelle imprese, nell’ambito ristretto , e per certi versi rassicurante, della fatalità, dell’incidente fortuito, rispetto ai quali non c’è rimedio umano possibile. Bisogna farsene una ragione.
E’ drammatico il fatto che secondo i dati forniti dall’Inail , nei primi due mesi di quest’anno si siano già verificati 92711 infortuni ( 1545 al giorno) con un incremento del 7,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e 109 morti con un incremento del 19%. Due lavoratori morti al giorno.
Ma è inquietante la costatazione, che i giovani hanno maggiore probabilità di infortunarsi rispetto agli altri lavoratori, spesso a causa di carenza di esperienza, di formazione e di consapevolezza del valore della sicurezza.
Purtroppo sono ancora molti gli infortuni che avvengono in aziende che non esistono, in base a rapporti di lavoro che non esistono e che, per questo, sfuggono ad ogni statistica, quasi non fossero mai avvenuti.
Una tragica carneficina che si aggrava ogni giorno di più e che richiede risposte chiare e concrete da parte delle istituzioni e delle imprese, per contrastare questo doloroso fenomeno e garantire la tutela della salute e della vita dei lavoratori.
Non sembra aver scalfito la corazza di indifferenza di gran parte della politica e delle istituzioni le tante richieste di intervento per una maggiore attività di controllo dei luoghi di lavoro e di contrasto del lavoro irregolare, attivando un più efficiente meccanismo di prevenzione.
Non è più sostenibile, per un paese avanzato come il nostro, l’esistenza di troppi casi di aziende, che risultano non in linea con gli standard di sicurezza.
Credo che in questi incidenti, nella loro dimensione, ci sia il segno di un apparato economico culturalmente arretrato, che cerca la capacità competitiva nell’indiscriminato abbattimento dei costi e nell’intensificazione dei ritmi di lavoro e non investe sulla valorizzazione del lavoro e del capitale umano.
E’ questo il disvalore da combattere, non certo riesumando i vecchi motivi di conflitto, fra capitale e lavoro, che pure ci sono, ma si combatte se tutti insieme, governo, politica, lavoratori, si impegnano a presidiare, giorno dopo giorno, la frontiera della sicurezza, in cui non c’è posto per la difesa di quelle aziende in cui, a causa delle carenze nel sistema di sicurezza e delle attrezzature, avvengono gli infortuni e le morti.
Accade infatti che spesso , dove avvengono gli infortuni , le attrezzature e i dispositivi di sicurezza siano obsoleti o non funzionanti.
E’ paradossale comunque dover constatare che la strenua difesa del valore della vita, espressa da alcune culture politiche e espressioni presenti nella nostra società, si fermi davanti davanti ai luoghi di lavoro, che non faccia sentire forte la propria voce in quella direzione.
L’Amministrazione Comunale, per la parte che gli compete, può contribuire a costruire nel territorio la cultura della sicurezza, investendo nell’educazione e nella formazione dei lavoratori in erba, proponendo nelle scuole, a partire dalle medie, un ciclo di conferenze, tenute da professionisti capaci, per radicare l’idea del valore della sicurezza del lavoro, in cui non ci sia più posto per il lavoro non sicuro.
Tuttavia non si deve commettere il solito errore di ritenere le vicende degli ultimi mesi e l’attuale riflessione, espressione della solita e faticosa routine politica, da affidare velocemente a qualche polveroso archivio, come purtroppo è gia avvenuto.
Deve invece servire a far emergere finalmente la consapevolezza del valore e dell’impegno sul fronte della sicurezza, perché non è più sostenibile un sistema produttivo, che si rivela spesso inadeguato a tutelare la salute e l’integrità di chi esce da casa al mattino per andare a lavorare e a fine turno avrebbe il sacrosanto diritto a rientrare a casa, ai propri affetti, sano e salvo.
Una consapevolezza che deve ispirare la quotidianità della politica, delle istituzioni, dei lavoratori, perché siamo arrivati al limite, che segna in modo indelebile la nostra vita sociale e l’autorevolezza delle istituzioni.
E’ necessario farla finita con quell’ idea di scala sociale, in cui il lavoratore dipendente costituisce l’ultimo anello della catena, quello più debole, quello che può essere trascurato.
Non è normale che tutto questo avvenga e ancora una volta non si metta riparo con urgenza considerato che in Italia, come riferito dal ministro dell’ambiente, avvengono più morti ed infortuni di molti paesi europei.
Vincenzo Albano