Ricordo, nonostante la mia giovane età, e con particolare nostalgia, che durante la Prima Repubblica i confronti e gli scontri politici erano esaltanti e stimolanti. Quando si polemizzava con i rappresentanti di un altro partito, si conoscevano cultura personale e politica del proprio interlocutore. Ogni partito aveva i propri ideali, i propri valori, ma anche un modello di società a cui subordinava la sua azione e il tentativo di concretizzarlo era la sua ragione di esistere. Gli annuali di storia politica ci hanno testimoniato come Il PCI aveva forte il senso dello Stato, la DC quello della mediazione, nel senso di mediare tra gli interessi delle varie classi sociali, partendo dai valori sociali della Chiesa; il PSI era per una presenza forte ed autorevole dello Stato nei settori vitali della società, ma anche per il primato della politica sull’economia. Partiti che hanno fatto la storia, la bellezza della politica italiana. L’Italia, con questi Partiti, insieme al PSDI, al MSI, ai Repubblicani e Liberali, e con un sistema elettorale proporzionale, affrontò dignitosamente il dopoguerra, costruì umilmente il miracolo economico, creò fiducia nella società civile e nei giovani, sostituì l’assistenza con la previdenza. Ci furono molti Governi: nascevano su difficili accordi di programma e le crisi erano causate da diverse interpretazione degli eventi, non per capricci, non per interessi personali o di corrente. La capacità di mediare, per il bene del Paese, era una delle virtù dei partiti della prima Repubblica. Se la politica è diventata un autobus dove salire e scendere, uno strumento di arricchimento personale, uno stipendio di sopravvivenza, lo si deve al processo di perdita dell’identità delle forze politiche. Un processo che ha avuto due punti di partenza, che con il tempo si sono sommati ed integrati : Tangentopoli e la caduta del muro di Berlino. Nel successivo stato confusionale fu facile, a chi dava l’impressione di rappresentare la società civile, e cavalcando uno proficuo populismo, raggiungere strepitosi consensi. La politica si rigenerava, si integrava, si alleava non su basi ideologiche ma puramente elettorali; ma questo non impediva il processo di essiccamento dei valori, tale da arrivare alla negazione della formazione politica e del confronto e alla loro sostituzione con il metodo della improvvisazione, della agevolazione, dell’uomo comune ma portatore di voti, a prescindere dalla sua preparazione o affidabilità. Questo modo di concepire l’agire politico, il senso di appartenenza politica, non poteva non essere avverso da chi ha avuto la fortuna di avere una formazione politica, una crescita culturale, di apprendere che la politica è arte nobile e che i consensi, collegiali e non individuali, si chiedono proponendo un progetto di sviluppo della società, della città, di un territorio, non semplicemente demonizzando l’avversario politico, la sua passività o incapacità politico-amministrativa. Ecco perché, con precipuo riferimento alla politica brindisina, non possiamo, tutti, continuare ad essere un contenitore costruito sulla demagogia, facile strumento populistico, e sul moralismo, rispetto al quale, nessuno, può vantare una primazia. Si va avanti all’insegna del “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, aspettando che l’avversario faccia qualche errore, per poter dire: “Io lo avevo detto….io sono diverso”. Ecco perché, speriamo, al più presto, che la politica, nella sua accezione più nobile, possa espletare la sua principale funzione sociale, individuare settori cardine della città su cui avviare una virtuosa discussione partitica ed un costruttivo confronto politico: come diceva Bettino Craxi, la politica deve riprendere il suo primato ma soprattutto garantire progettualità, certezze e rappresentatività.
Avv. Cosimo De Michele
Vice coordinatore provinciale Area Popolare