Potrebbe essere questo l’effetto di una manovra fiscale da parte del Governo di un paese quando l’economia attraversa un periodo di crisi. È invece l’esito di un contenzioso con il fisco, portato avanti per diversi anni, da una società di Francavilla Fontana, assistita e difesa dal dott. Cosimo Torino, commercialista e revisore dei conti della Città degli Imperiali.
Il dottor Torino, non nuovo a questi risultati, ha ottenuto l’annullamento dell’avviso di accertamento basato sugli studi di settore sostenendo che gli esiti di tal tipo di accertamento non possono essere applicati in modo acritico alle situazioni reali in cui versa l’azienda. Nello specifico i Giudici della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, sez. staccata di Lecce, nella loro decisione, hanno riformato la sentenza di primo grado e annullato l’avviso di accertamento basando le motivazioni sul fatto che il fisco non ha tenuto conto delle circostanze dedotte dal dott. Torino, atteso che la società, costituita nel luglio del 2009, in un momento di grave crisi del settore edilizio, ha evidenziato un netto calo degli ordini documentato dal contribuente, tanto che nel 2013 ha dovuto cessare l’attività. La società ha fatto registrare fin da subito perdite, poiché, come documentato dal contribuente, notevoli sono stati gli investimenti iniziali in macchinari, attrezzature ed impianti presso i locali di produzione: l’esposizione debitoria è stata solo in piccola parte tamponata dal socio, attraverso capitali propri, tanto che i debiti verso le banche avevano rapidamente raggiunto livelli insostenibili, fino alla cessazione dell’attività.
Dunque, conclude la Corte, è ragionevole che, sulla base di quanto documentato dal dott. Torino, la società non ha potuto far registrare nell’anno 2011 i ricavi ipotizzati dallo studio di settore, essendo stata costituita da pochi mesi ed avendo operato in un periodo di conclamata crisi economica; se, peraltro, la società avesse effettivamente realizzato quei ricavi, l’amministratore non sarebbe stato costretto ad apportare ulteriori mezzi finanziari per cercare di ripianare l’esposizione debitoria, e la società avrebbe potuto affrontare con più risorse la notevole riduzione degli ordinativi che l’avrebbe portata, l’anno successivo, a cessare la propria attività.
Inoltre, secondo la Corte, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate non ha calibrato le proprie conclusioni alla luce delle documentate deduzioni del contribuente, così omettendo di adeguare le risultanze dello studio statistico alla realtà reddituale del caso concreto.
In sostanza la Corte di Giustizia di secondo grado della Puglia, sez. 22, (Giardino Francesco, Presidente, Toriello Michele, relatore) fa proprie le motivazioni esplicitate dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 30370 del 18 dicembre 2017, quando afferma che lo studio di settore, che è uno strumento statistico, va adeguato alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così far emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica dell’impresa. Ne consegue che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio; solo così potrebbe emergere la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente .