“Un’altra Brindisi è possibile” fu lo slogan coniato allorquando ci si mobilitò in migliaia per dire no al famigerato rigassificatore e ai megainsediamenti energetici. All’epoca, si sperava in un modello alternativo di sviluppo e tale motto costituì un chiaro obiettivo da traguardare per quanti sognavano di affidare alle generazioni future una città diversa, che potesse vedere pienamente valorizzate le proprie vocazioni, le proprie risorse.
Nel corso dei successivi anni si è sempre sperato in una netta inversione di tendenza, che potesse finalmente instaurare le condizioni per l’ottenimento di un cambiamento, programmando uno sviluppo alternativo in grado di garantire una ripresa economica e soprattutto un miglioramento della qualità della vita.
Tale esigenza è scaturita dal fatto che alla nostra comunità fu imposto, come unico modello di sviluppo economico, quello industriale, ovviamente “il cattivo”, presentandolo come se non ci fossero valide alternative. Inevitabilmente tale processo ha ingenerato nel tempo un forte condizionamento nel contesto sociale e culturale della nostra città, con risultati, dopo anni di impero industriale, devastanti sotto l’aspetto occupazionale, non disgiunti da una marcata emigrazione, da un forte inquinamento ambientale e da un impoverimento delle risorse naturali, culturali ed umane.
Brindisi, storicamente ricca di potenzialità legate alla sua storia, all’arte, al mare ed alla sua terra, a causa di una falsa vocazione industriale, che ha prevalentemente tutelato gli interessi delle multinazionali a discapito della tutela della collettività, ha conosciuto, invece, il continuo declino che oggi è sotto gli occhi di tutti.
A distanza di tanti anni da quello storico slogan “Un’altra Brindisi è possibile”, ancora oggi si sta giocando la stessa partita, tra chi vuole che le cose vadano avanti come sono andate finora, con l’aggravamento della già tragica situazione occupazionale ed ambientale esistente, e chi chiede un cambiamento di indirizzo che, “razionalizzando e rendendo compatibili gli insediamenti industriali esistenti”, punti a favorire la creazione di nuove fonti di produzione e di lavoro basandosi soprattutto su tutte le anzidette vocazionali potenzialità naturali e storiche di questo territorio.
E per non cadere in un baratro senza uscita non può che perseguirsi la seconda ipotesi.
Ma per fare ciò è necessaria l’affermazione di una classe dirigente autorevole, autonoma da condizionamenti, capace di rappresentare un vero cambiamento di rotta. C’è bisogno di progettare ed avviare uno sviluppo sostenibile e non più di asservimento energetico, capace di creare sinergia fra turismo, commercio, agricoltura, artigianato ed industria di qualità.
Ed in questo percorso di sviluppo sostenibile, che sia il più ampiamente condiviso, la partecipazione ed il coinvolgimento dei cittadini sono da considerarsi prioritari. Per questo, ogni programma e processo di sviluppo locale deve basarsi su modalità e strategie di comunicazione idonee a creare un consenso diffuso su scelte, interventi, politiche ed azioni concrete; deve basarsi sulla cura di diffondere la cultura ambientale anche per stimolare atteggiamenti rispettosi e responsabili verso l’ambiente, per favorire la partecipazione attiva e consapevole di ogni cittadino su tematiche che incidono sul livello di benessere individuale delle persone, dei cittadini, in relazione al contesto socioculturale e ambientale in cui vivono e lavorano.
Appare, pertanto, fondamentale, visto lo stato delle cose, promuovere la possibilità di definire con i cittadini il percorso da compiere, per migliorare, ancorché la qualità della vita, lo sviluppo economico e la tutela del patrimonio ambientale.
Si tratta di fare una scelta strategica tra l’eterno ritorno della vecchia politica ed un cambiamento che richiede chiarezza, coraggio e senso di responsabilità.
La tambureggiante esposizione mediatica di taluni personaggi che ricoprono cariche istituzionali di rilevante importanza, che con parossismo quasi patologico cercano in tutti i modi di convincere, quasi sempre senza un valido contraddittorio, la pubblica opinione della bontà di determinati insediamenti, non può che continuare ad irretire “la civitas” brindisina, ormai stanca di essere assoggettata a risoluzioni determinate “dall’alto” da attori che nulla hanno a che fare con la nostra storia e che, dietro l’ormai tragico ricatto occupazionale, cercano di occultare evidenti interessi strategicamente connessi tra politica e mondo industriale.
Per quanto ci riguarda, scrolliamoci di dosso la nostra atavica apatia che ci ha portato sempre a badare più al nostro “particulare” che a quello della comunità; non occupiamoci più del nostro orticello, il solo baluardo che abbiamo sempre difeso con le unghie e con i denti, contro tutto e tutti, come se ciò che succede fuori dal nostro ambito non ci appartenesse; finiamola di caratterizzarci per mancanza di senso civico che, di tutte le nostre magagne, appare la più esiziale e detestabile.
Brindisi è nostra, non lasciamocela sfuggire.
Non per fare del quaresimalismo ma certe cose vanno dette, ridette e urlate.
Francesco D’Aprile, cittadino di Brindisi.