Scriviamo questa nota nella convinzione che a Brindisi si debba e si possa discutere senza correre il rischio di essere classificati tra gli amici o i nemici del sindaco e della sua amministrazione.
Il tema in discussione è quello legato alla proposta di realizzazione di interventi per migliorare la sanità pubblica nel capoluogo e, più in generale, in provincia di Brindisi.
Assolutamente condivisibile l’idea di riutilizzare il vecchio ospedale Di Summa. Una struttura ospedaliera situata nel cuore della città, infatti, non può essere relegata a svolgere le funzioni di un condominio in cui hanno sede associazioni e strutture sanitarie di rilevanza secondaria. Meglio pensare a restituirlo ad un utilizzo più funzionale, di assistenza “reale” al cittadino, magari ricavando spazi anche per la ricerca e per l’approfondimento di particolari patologie.
Assai meno condivisibile, invece, l’idea di costruire un nuovo ospedale per risolvere i problemi della sanità pubblica di tutta la provincia di Brindisi. E’ vero: il “Perrino” è stato concepito 50 anni fa e quindi non risponde alle attuali esigenze di cura. Presenta anche dei gravi limiti strutturali di cui sono tutti ben consapevoli. Ma pensare ad un nuovo ospedale significa non conoscere (o volutamente ignorare) la storia del nostro paese. Un ospedale che va “pensato” oggi, bene che vada potrebbe essere inaugurato tra 15-20 anni (tra individuazione di fonti di finanziamento, destinazione di tali fondi, progettazione, esproprio dei suoli, iter autorizzativo, procedure di gara, contenziosi, assegnazione lavori ed esecuzione degli stessi). Non è una nostra previsione pessimistica, semplicemente è ciò che avviene in Italia e, in particolare, ciò che avviene nella nostra regione.
Più logico pensare, invece, che non si debba continuare a buttare denaro pubblico per interventi infrastrutturali senza finalizzare l’utilizzo delle strutture dove i lavori vengono eseguiti. La provincia di Brindisi – è ben noto a tutti – dispone di una rete ospedaliera che negli anni è stata vandalizzata da una classe politica che ha prestato il fianco ai “ragionieri” a cui interessava solo ridurre i costi della sanità pubblica, senza occuparsi della salute dei cittadini. E’ accaduto, pertanto, che “gioielli” come gli ospedali di Mesagne, San Pietro Vernotico, Ostuni, Cisternino e Ceglie Messapica siano stati svuotati, anche se poi – sulla spinta di logiche localistiche – si è corso ai ripari per finanziare trasfomazioni in PTA che assomigliano molto a dei veri e propri aborti di sanità pubblica.
Ed allora, perché non scervellarsi per concepire un modello di sanità pubblica disegnato sulle strutture già disponibili (compreso il Di Summa) e su un potenziamento infrastrutturale del “Perrino”? Il tutto, anche sulla base delle rivoluzioni che la pandemia da covid ha determinato nelle esigenze assistenziali.
Certo, occorre sintonia e soprattutto la comune volontà di raggiungere risultati accettabili per i cittadini della nostra provincia. Ed invece il primo scambio di battute tra favorevoli e contrari ha evidenziato solo la solita stucchevole contrapposizione politica. Si metta il cittadino al primo posto, si chiamino al nostro capezzale esperti di modelli funzionali di sanità pubblica, magari smettendola di pensare che si possano tacitare le coscienze aprendo nuovi cantieri. In Italia ci sono già tante cattedrali nel deserto (anche ospedali mai inaugurati) per pensare di allungare la lista.
Mimmo Consales